Premessa: l’Italia, l’Europa e il mondo si trovano davanti alla più grave emergenza sanitaria, sociale ed economica del dopoguerra.
Sabato sera (21 marzo) il presidente del Consiglio dei ministri (non esiste la figura del premier nella nostra Costituzione), continuando a utilizzare la prima persona singolare “IO” e mai il noi collegiale a nome del governo, ha ritenuto necessario comunicare agli italiani, come di consueto a tarda sera, con notevole ritardo sull’orario annunciato, dopo le ormai usuali fughe di notizie, in un pericoloso gioco di inseguimento con le regioni, su una piattaforma social privata e non attraverso i canali pubblici istituzionali, una serie di gravi decisioni assunte con colpevole ritardo dall’esecutivo che presiede.
L’associazione della stampa parlamentare, la stessa sera, a tarda notte, ha stigmatizzato quella che sembra ormai essere divenuta la cifra comunicativa ufficiale di Palazzo Chigi.
Sorvoliamo sulla personalizzazione delle comunicazioni: “ho deciso”, “ho scelto”, “ho stabilito”, ma sempre dopo un bombardamento di anticipazioni che hanno più volte creato panico e incertezza tra i cittadini, ansia e paura.
L’utilizzo della pagina personale su Facebook del presidente del Consiglio invece dei canali istituzionali non può ulteriormente essere tollerato. Agli spifferi aggiungiamo che arriva puntualmente a tarda sera e con notevole ritardo sull’orario stabilito: a pensar male si potrebbe sospettare che la volontà del gruppo di comunicazione di palazzo Chigi non sia solo di programmare divulgazioni senza contraddittorio ma che il ritardo sia finalizzato in modo scientifico alla crescita dei collegamenti e dei like su un social che non appartiene a una star dello spettacolo ma che rappresenta, ricordiamolo, il governo italiano.
La mancanza di contraddittorio delinea uno dei principali problemi davanti ai quali ci troviamo, fermo restando quanto specificato in premessa. Se ne riparlerà di più e meglio quando tutto questo sarà finito, ma ciò non è sufficiente per silenziare ogni nota critica che potrebbe anche solo aiutare questo governo a sbagliare di meno nella gestione – lo ripetiamo – della più grave emergenza vissuta nel dopoguerra. La presenza dei giornalisti, le loro domande, avrebbero ad esempio consentito a Conte di chiarire almeno che le disposizioni entreranno in vigore mercoledì 25 e saranno valide sino al tre aprile, cosa che ha dovuto fare l’ufficio stampa di palazzo Chigi appena conclusa la diretta Facebook.
Il presidente del Consiglio ha invitato i cittadini a non prendere d’assalto le farmacie e le botteghe di generi alimentari, garantendone la regolare apertura, dimenticando però che molte regioni e molte città sono state lasciate libere di decidere in modo autonomo, per cui il Paese si trova con milioni di cittadini che non sanno con certezza se il proprio sindaco o il proprio presidente di regione ha previsto limitazioni più stringenti rispetto a quelle mal decise e peggio comunicate dal governo. Lo stesso governo che per giorni ha ventilato, per poi smentirle, la chiusura anticipata e quella domenicale dei servizi pubblici essenziali creando, come sempre, panico e confusione.
Molti giornalisti, autori e conduttori, come detto, stanno protestando per la comunicazione voluta e imposta da Palazzo Chigi in questi giorni. La stessa unanime indignazione però non è stata registrata quando il capo politico del M5S, Luigi di Maio, ha inviato al presidente dell’ordine dei giornalisti “l’elenco dei giornalisti che ci diffamano” oppure quando Beppe Grillo si è rivolto ai giornalisti dicendo: “vi mangerei soltanto per vomitarvi”.
Abbiamo assistito al picco e forse all’inizio della parabola discendente di un atteggiamento colpevolmente remissivo di molta stampa nazionale nei confronti del M5S quando era in piena crescita di consensi: aveva la forza di imporre ai più grandi giornali e alle principali trasmissioni di informazione le proprie regole, prendere o lasciare, che non differivano molto dal modo in cui viene oggi gestita la comunicazione istituzionale del presidente del Consiglio dei ministri.
Direttori, conduttori e autori obbedivano agli ordini del capo comunicazione del M5S, capace ordinare di cosa parlare e cosa non chiedere, imporre comizi in prima serata dei principali esponenti del M5S, esigendo che non ci fosse contraddittorio. Ogni violazione dell’accordo veniva punita con la cancellazione dai flussi di informazione, con l’assenza dei volti più noti per un certo tempo da tg e talk show.
Condivido pienamente la nota diffusa dall’associazione stampa parlamentare e anche le proteste dei giornalisti non iscritti all’associazione, ma sino a quando non ci sarà piena solidarietà tra tutti i colleghi, sino al momento in cui sarà consentito alla politica di imporre le regole della comunicazione, sino a che si registrerà questa subalternità psicologica al potere, fino al momento in cui una intera sala stampa non si alzerà per protesta ogni volta che un politico, di qualsiasi colore politico, impedirà a una qualunque giornalista o testata di porre una domanda, sino a quando ciò non accadrà continueremo a meritarci le dirette via Facebook e senza contradditorio del presidente del consiglio.
Per una volta avrebbe potuto fare una conferenza stampa presentando un provvedimento già pronto e definito. Avrebbe potuto chiedere ai presidenti di Camera e Senato di riferire in Parlamento, nella sede legislativa, che tutti questi decreti dovrà emendare e approvare. Avrebbe potuto richiamare il Parlamento, che oggi pare irreperibile, alle proprie responsabilità.
Ma la conferenza stampa di ieri sera non è stata organizzata in fretta e furia per comprovate ragioni di urgenza e ordine pubblico, considerato che ancora a quest’ora non c’è il decreto firmato e continuano a girare sulle chat dei giornalisti le bozze delle bozze. Le nuove disposizioni potevano essere annunciate questa mattina, attraverso i canali istituzionali, alla presenza dei giornalisti, per parlare a una più ampia platea di cittadini. L’urgenza in realtà era di “bruciare” la decisione dalle regioni Lombardia e Piemonte di aggravare le misure restrittive, deliberate dai presidenti Fontana e Cirio di fronte alle pressanti richieste degli esperti e degli amministratori e constatato il tentennamento del governo. L’urgenza erano le prime pagine dei giornali di oggi. Niente di più. Niente di meno.