Eppure avrei provato volentieri questo smart working di cui tanto si parla. Ma, pensionato, seppur da pochi anni, non avrò questo piacere. Ho lavorato per lo Stato (lo so che sembra un espressione più da 007, che da impiegato) per più di 40 anni, ma non voglio, di certo, raccontarvi della pila di pratiche che hanno ingombrato la mia scrivania e quelle dei tanti colleghi che ho visto passare.
Però una storia da raccontare la ho anche io, quella di un uomo che ha visto cambiare l’Italia, da una postazione forse comoda, ma sicuramente non banale, se solo provi a farti qualche domanda; se provi a riempire 36 ore settimanali, senza ingannare il tempo tra una timbratura e l’altra.
Essendo abbastanza fresco di pensione e, spero, non completamente dimenticato dai “vicini di scrivania”, alla partenza di questa grande campagna per il lavoro agile (mi piace di più chiamarlo in italiano, se nessuno si offende), vista tutta la pubblicità sui telegiornali e la carta stampata (perdonatemi se non sono molto social, come dicono i miei figli), ho provato a telefonare a qualche collega, scegliendo dalla lista quelli più vicini di età.
Ossessionati dal racconto brunettiano dell’inutilità del fannullone statale (anche parastatale, perché no), cosa possiamo pensare di telefoni che squillano a vuoto? Possiamo mai pensare che in così breve tempo siamo passati dal tampone e le dita inchiostrate allo smart working? Io non ci credo, sono sincero. Non credo a questo passaggio così veloce dal fascicolo al paperless. Come se io, pensionato, potessi fare un salto acrobatico dallo scrutare pensoso i lavoratori sul cantiere, all’osservare tramite webcam l’ipnotico ruotare dell’impastatrice, mentre bevo un caffè seduto sul divano.
Eppure la mia storia è quella di chi è entrato al lavoro quando c’era il ciclostile, quando A4 non era così forte nel vocabolario, anche alle scuole elementari, ma andando via dall’ufficio, ho salutato il pc e il mouse, dopo aver imparato a scrivere a macchina su una vecchia Olivetti, che condividevo con tre colleghi, uno dei quali, a dire il vero, quasi cieco.
Non mi conviene insistere con il telefono, provo a inviare una email, tanto gli indirizzi di posta, da noi, sono uguali: nome.cognome@ufficio e non si scappa. Sono sicuro che qualcuno avrà voglia di raccontarmi come ha organizzato il lavoro da casa, a meno di non trovare un nuovo Bartleby.
Alla prossima, se avrete ancora piacere di ascoltare la storia di un impiegato.