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Il lockdown delle tradizioni popolari

Il tempo della Settimana Santa è trascorso e ci ha lasciato un’esperienza unica. Per la prima volta, la dimensione liturgica e quella della pietà popolare, anche nelle sue forme più folklorizzate, sono state travolte dalle nuove dimensioni di quarantena e distanziamento sociale, che stanno entrando nella drammatica normalità dei nostri giorni.

Ma non è questo il luogo per soffermarsi sulla dimensione liturgica, che coinvolge una pluralità di punti di vista, intra ed extra ecclesiali: anche se profondamente mutati nella dimensione comunitaria e trasferiti nello spazio del web e dei social network, benedizioni, messe domenicali, vie crucis e riti del Triduo Pasquale della Chiesa Cattolica hanno raggiunto milioni di persone.

L’universo sonoro dell’Italia delle tradizioni è animato da un calendario di appuntamenti che non sono l’espressione del folklore, o almeno non solo. Lo spirito delle comunità si fonda sulla ripetizione di riti, suoni e gesti che ne garantiscono vitalità e sopravvivenza, che ci parlano del mutamento della società, anche tramite il racconto che ne fanno l’etnografia e gli appassionati di documentazione delle storie locali. È proprio dal racconto di queste che ricostruiamo il radicamento dei riti e delle tradizioni e il loro svolgimento nel corso dei secoli.

Chi avrebbe mai pensato che le manifestazioni della pietà popolare durante la Settimana Santa, soprattutto nel nostro Meridione, svanissero dallo spazio pubblico per rifugiarsi nella dimensione del ricordo privato o, al massimo, familiare. Quasi un riapparire di quella forma antica di sospensione della vita, della quotidianità, che durante il periodo che avvicina alla Pasqua era tipica delle comunità, almeno fino a pochi decenni fa, e che oggi ritorna prepotente, facendosi forza delle nuove costrizioni, del nuovo timore per la salute, della paura del contagio.

Cosa ci mancherà e cosa speriamo di rivivere lo scopriremo nel tempo. L’impatto del coronavirus sulla dimensione sociale della musica è devastante. In questi giorni avremmo ascoltato e osservato le bande cittadine accompagnare le processioni. Avremmo ascoltato con l’orecchio benevolo di chi non cerca la perfezione estetica dell’esecuzione, ma coglie l’emozione della dimensione di relazione umana e sonora, di cui i complessi bandistici sono una delle più belle e durature espressioni. Avremmo teso l’orecchio ai canti delle processioni, che hanno stimolato la creatività linguistica delle comunità locali, che spesso hanno mescolato nel corso del tempo latino, italiano e dialetto e che tante volte sono stati strumento di catechesi popolare, quando la lettura e lo studio erano privilegio di pochi.

Ci rimane la speranza di arrivare presto a ripercorrere e ripetere riti e gesti, prestare attenzione a chi c’è e a chi è assente, osservare, senza perdere il timore del sacro, una comunità che si racconta e ci racconta.

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