L’emergenza coronavirus fino ad oggi ha messo in evidenza che l’Italia è un paese antico, lento, ingessato, che ha drammaticamente mancato l’appuntamento con il progresso. E tutto ci voleva in questa emergenza tranne un governo prigioniero dei profeti della decrescita felice. Abbiamo programmato poco e male, prigionieri di una burocrazia che anche in queste ultime settimane ha reso tutti i processi macchinosi e complessi, contorti e lenti. Se c’è un merito che può essere riconosciuto agli italiani è la pazienza che però rischia di sfociare nell’indolenza. Siamo stati i primi a chiudere e ci ritroviamo a essere gli ultimi a riaprire. Anche se in realtà non abbiamo mai chiuso davvero e la ripartenza è ancora avvolta nel mistero. Sappiamo che forse sarà il 4 maggio ma non ne abbiamo l’ufficialità, non sappiamo cosa ripartirà e con quali modalità.
Sin dall’inizio è mancata una decisa e lucida catena di comando. Le scelte principali sono state prese più per obbligo che per scelta, in un continuo inseguirsi e denigrarsi tra i vari livelli di gestione governativa, in una babele di disposizioni schizofreniche che non rendono chiaro cosa è permesso e in che misura, cosa non è consentito e da chi è stato stabilito. Siamo stati da esempio ma solo perché colpiti per primi dopo la Cina. La Corea, coinvolta insieme a noi, ha gestito l’emergenza con maggiore efficacia. Germania, Francia e Spagna sono state interessate dopo ma da giorni hanno definito e comunicato una chiara strategia per la ripresa. Peggio di noi hanno fatto solo Gran Bretagna e Stati Uniti a causa delle irresponsabili decisioni dei loro presidenti.
Pensiamo soltanto al grande ospedale costruito alla fiera di Milano. Sono stati spesi venti milioni per una struttura che è arrivata a emergenza superata, frutto di una prova di forza tra fazioni politiche. Quelle risorse, umane ed economiche, potevano essere utilizzate, se ci fosse stata collaborazione istituzionale e una vera guida dell’emergenza, con una visione di lungo periodo per la Lombardia e per il Paese. Abbiamo mancato così l’ennesima opportunità di sviluppo strategico. Parleremo in altra occasione dei dipendenti pubblici. Si è magicamente scoperto che sono una preziosa risorsa per il Paese e non quei parassiti che negli anni sono stati affrescati. Ma il loro contributo va stimato sulla qualità e non sulla quantità. Non serve la catena alla caviglia, ma una classe dirigente che sappia guidarli e responsabilizzarli.
In questo contesto si inserisce il rischio di perdere l’opportunità di utilizzare le risorse messe a disposizione in Europa dal MES solo perché nel tempo numerose forze politiche di maggioranza e di opposizione su questo termine hanno costruito il loro racconto politico, populista e sovranista, composto da falsità e terrore. Klaus Regling, direttore generale del MES, ha chiarito che il prestito per agire sull’emergenza sanitaria sarà senza condizioni mentre per altre misure serve ancora tempo. Siamo un Paese disposto a dare il via al taglio lineare di senatori e deputati, che lascerà intere aree dell’Italia senza rappresentanza parlamentare, per realizzare un risparmio quantificato in un caffè l’anno a cittadino. Siamo un Paese pronto a dilapidare centinaia di milioni l’anno di soldi pubblici per interessi sul debito solo perché una classe dirigente inadeguata e improvvisata non ha il coraggio di ammettere i propri errori.
Gli studenti non sanno quando torneranno a scuola e come si svolgerà l’esame di stato. I sondaggi descrivono un popolo convinto che l’Italia abbia ormai cambiato alleanza e sia entrato in intesa con Russia e Cina. Il presidente del Consiglio, ammiccando alle sue capacità persuasive, continua a traccheggiare, arrivando a sostenere che “il Mes ha una brutta fama”. Una brutta fama? Non ci si improvvisa classe dirigente. Non si guida un Paese come l’Italia con i sondaggi, per il consenso. L’Italia è prigioniera di chi è arrivato al governo assicurando No Tav, No Tap, No Vax, No Mes, No a ogni idea e proposta di sviluppo. Chi ne ha consapevolezza esca dall’angolo e faccia sentire la propria voce. È il tempo della verità e della responsabilità.