di Federico Ferri e Emanuele Raco con la collaborazione di Laura Fazzini
Qual è la prima associazione d’idee che il 25 aprile le suscita?
25 aprile è sinonimo di libertà e ritorno alla dignità di una Nazione ferita. È la Liberazione di Milano dall’occupazione nazifascista. Per un milanese come me un momento importante anche per la città, non a caso Medaglia d’Oro della Resistenza. È il ricordo di tante, tantissime manifestazioni che sfociavano in una Piazza Duomo strapiena. I discorsi dal palco, i sorrisi e gli abbracci dei manifestanti, i ricordi di quanti hanno donato la loro vita per tutti noi. Il 25 aprile non è un momento retorico; tutt’altro. I suoi significati e le sue motivazioni sono validi oggi e lo saranno anche in futuro.
Non pensa che aver voluto rivendicare da parte della sinistra e del PCI in particolare la Resistenza come “cosa loro”, nonostante il grande contributo dato alla lotta di liberazione e all’antifascismo da cattolici, laici e socialisti, abbia impedito a molti di considerarla davvero il fondamento nazionale e una festa di tutti?
Non credo. Nel mio mandato di Sindaco di Milano ho tenuto molto a rimarcare quanto la Resistenza sia, oggi più che mai, “patrimonio condiviso”. Recentemente è uscito un bellissimo film – che abbiamo presentato anche al Parlamento Europeo – sull’esperienza delle “Aquile Randagie”, gli scout che non si arresero e che parteciparono alla Resistenza guidati da quell’uomo e sacerdote straordinario che fu Don Giovanni Barbareschi. Grazie all’attività degli storici stanno sempre più emergendo testimonianze dell’impegno di uomini e donne di diversi pensieri politici democratici che non si sono tirati indietro per combattere il nazifascismo. Vorrei ricordare in questa occasione due donne: Nilde Iotti e Tina Anselmi, sicuramente diverse tra loro – una comunista, l’altra democristiana – ma accomunate da una fede unica rispetto ai valori democratici e di libertà. Se vi è stato il tentativo da parte di qualcuno di rivendicare la “Resistenza” come propria e non di tutti i democratici, bisogna anche dire che c’è chi è sempre stato antifascista e chi lo è diventato più tardi. Ma nell’animo degli italiani è chiaro come questo sia stato un gesto corale di amore della libertà e della Patria.
La liberazione dal nazifascismo ha permesso la nascita dell’ONU come luogo di concertazione internazionale volto in primis a prevenire i conflitti. Oggi l’Interdipendenza del mondo globale, già chiara a livello economico, ci si è palesata drammaticamente di fronte a un nuovo nemico comune. Come valuta il comportamento dell’Unione e quello dei governi che la compongono? Che cosa occorrerebbe per rendere più efficace il concerto degli Stati, sia a livello europeo sia a livello mondiale?
L’Europa, dopo alcune iniziali esitazioni e incertezze, c’è. La riprova viene dal Parlamento Europeo, unica Istituzione comunitaria i cui rappresentanti sono eletti direttamente dai cittadini, che ha approvato a larghissima maggioranza gli interventi necessari per contrastare il Coronavirus e per rilanciare lo sviluppo economico e sociale: fino a 100 miliardi di prestiti agli Stati membri sotto lo strumento SURE (la ‘cassa integrazione europea’), 200 miliardi di finanziamenti alle imprese dalla Banca europea per gli investimenti, e fino a 240 miliardi di prestiti dal MES agli Stati membri. Inoltre i capi di Governo hanno deciso di lavorare sulla creazione di un fondo per la ripresa che dovrà essere “di entità adeguata, mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti e destinato a far fronte a questa crisi senza precedenti.” Il Consiglio ha incaricato la Commissione di presentare una proposta per il fondo per la ripresa, e la Presidente von der Leyen si è già messa all’opera. È stato compreso come con questa emergenza Coronavirus si rischiava – in mancanza di risposta appropriata – di sfaldare l’Unione Europea. Per rendere efficace l’azione dell’Unione Europea e per dare nuova linfa al cammino verso una sempre più rafforzata unità occorre ora superare il meccanismo delle decisioni prese all’unanimità all’interno del Consiglio. Per superare certi blocchi e rallentamenti, frutto spesso di miopi visioni nazionaliste, occorre arrivare all’introduzione del principio della maggioranza qualificata: solo così l’Europa potrà mantenere un ruolo attivo e presente nello scacchiere mondiale.
Milano fu medaglia d’oro della Resistenza. Eppure, come in tutte le metropoli europee, vi si affacciano condizioni di marginalità che diventano brodo di coltura di ogni forma di estremismo. In molte di esse le opportunità di lavoro, già poche e precarie, vengono travolte dalla pandemia. Quale strada si può percorrere per non far sentire nessuno estraneo a casa propria?
Una delle sfide più drammatiche che dobbiamo affrontare, con ancora maggiore forza e fermezza dopo l’emergenza Coronavirus, è legata alla crescita di nuove povertà e all’aumento delle diseguaglianze; penso ai tanti giovani, ma anche ai meno giovani, impegnati in attività che erano più che promettenti sino allo scoppio della pandemia. Quale sarà il loro futuro? Milano ha fatto e sta facendo molto sulla strada dell’inclusione e della ricerca di opportunità per tutti, ma è stata travolta dal dramma che ancora oggi tutti noi viviamo. Dobbiamo ripensare la nostra vita, sin quando non si troverà il vaccino, ma dobbiamo anche trovare nuove modalità e vie di solidarietà perché “nessuno si senta straniero”. In queste giornate di fermo tra le poche figure che sfrecciano per la città a consegnare i pasti che ordiniamo sono i rider in bicicletta. Abbiamo visto le immagini di questi ragazzi in attesa sulla banchina del passante: uno attaccato all’altro, con la loro bici. Rientravano alle loro case fuori Milano dopo una giornata di durissimo lavoro. Non possiamo pensare che sia integrazione questo lavoro e queste condizioni. Dovremo trovare nuove modalità di intervento per permettere che chi è povero non diventi sempre più povero. Solo così potremo far fronte a nuove forme di estremismo e intolleranza e ben sappiamo come esse si alimentino anche e soprattutto con la paura dell’altro. La paura non si deve condannare; la paura si deve affrontare mettendosi a confronto con chi la vive. È un insegnamento da tenere sempre a mente per chi si impegna nella cosa pubblica.
La Chiesa e il movimento cattolico lombardo hanno rappresentato un argine al trionfo del fascismo e un esempio di mediazione e tutela della dignità della persona. Il cardinale Schuster è stato colui che ha dichiarato che le leggi razziali erano un’eresia. Lei è stato sindaco di Milano, dalla sua esperienza che ruolo ha avuto la Chiesa nella costruzione dell’identità milanese del secondo dopoguerra e negli anni a venire? Come vede oggi la sfida del mondo del terzo settore, laico e cattolico, alle nuove povertà economiche e culturali che si riaffacciano più aggressive che allora?
La Chiesa ambrosiana ha avuto alla propria guida Vescovi illuminati. Ne cito solo qualcuno: Montini, giunto quasi in “esilio” dal Vaticano e capace di interpretare questa città in piena crescita economica andando a proporre momenti “rivoluzionari” come fu la Missione della Città; pensiamo a Martini, insigne biblista gesuita capace di dare una scossa a una città colpita e ferita dal terrorismo. Lo ricordo promotore di momenti di dialoghi bellissimi quali ad esempio la “Cattedra dei non Credenti”, i grandi momenti di incontro di dialogo ecumenico e interreligioso; Martini è stata la “coscienza critica” di una città frastornata dal fenomeno della corruzione. E dopo di lui l’afflato sociale di Dionigi Tettamanzi, la sapienza di Angelo Scola e ora l’Arcivescovo Mario Delpini: la sua preghiera alla Madonnina sul tetto del Duomo è un’immagine che non dimenticheremo mai. In quel momento, credenti e non credenti, erano con lui. È riuscito a farsi interprete delle ansie e delle speranze di tutti noi. A Milano il terzo settore è il cuore vivo e pulsante per l’intero Paese e il luogo dove si sono realizzate importanti sinergie tra pubblico e terzo settore oltre che tra mondo profit e non profit. In questa difficilissima emergenza senza l’apporto insostituibile del Terzo Settore e del volontariato sarebbe stato impossibile sopperire alle tante richieste di aiuto. Il Presidente della Repubblica nel suo discorso inaugurale tenuto in occasione dell’apertura di Padova Capitale Europea del Volontariato ha ben indicato il posto che il Terzo Settore occupa, non solo nella società, ma nell’ossatura di questo Paese.
La situazione di emergenza ci ha richiesto di comprimere alcune libertà. Probabilmente tra breve alcune ci verranno parzialmente restituite, mentre altre saranno messe in discussione, in particolare il diritto alla privacy. Aggiungiamo pure che in una situazione di emergenza siamo tutti più inclini ad affidarci a un “capo”. Se così è, che cosa non dovremmo essere disposti ad accettare, pena la rinuncia alla sostanza della democrazia?
Bisogna guardare avanti e non indietro. Ma bisogna anche essere capaci di creare le condizioni per evitare errori che pure sono stati fatti anche a causa di una situazione imprevista e, forse, imprevedibile. Questa emergenza ha costretto all’adozione di provvedimenti d’urgenza che hanno inciso anche sulle nostre libertà. Soprattutto nelle prime settimane l’adozione di queste decisioni è passata per Decreti del Presidente del Consiglio o per decreti ministeriali che sfuggono al controllo del Parlamento e non vengono controfirmati dal Presidente della Repubblica. Diversi esperti in ambito costituzionale hanno sollevato più di un dubbio sull’abuso di questo strumento, ma nell’insieme penso che sia stata seguita una certa proporzionalità. Per quanto riguarda la privacy è questione importantissima e l’uso di eventuali app deve avvenire solo dopo i chiarimenti a tutti i dubbi che società civile e esperti hanno sin qui sollevato. Detto questo credo che sia fondamentale creare le condizioni affinché ognuno di noi dia il proprio contributo alla sconfitta del virus che ci sta rovinando la vita e il futuro. Non è questione di poco conto: stiamo parlando di dati privatissimi ed è bene non commettere il minimo errore per non rompere il rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato.
La necessità di “migrare” la vita del Paese sul web, anche per rendere effettivo il diritto allo studio, ha fatto emergere significative disuguaglianze di accesso alla rete. Superare il digital divide non diventa allora una frontiera per rendere effettiva l’uguaglianza predicata dalla Costituzione? Non è quella una frontiera delle nuove povertà?
Certo. Una delle cose più stridenti che ho letto in questo periodo ha riguardato le difficoltà che alcune famiglie più povere hanno dovuto affrontare per far studiare i loro figli. Non è pensabile che bambini restino collegati ore per seguire una lezione dallo schermo del cellulare della mamma perché lo smartphone è l’unico strumento digitale disponibile in casa. Aziende private, Amministrazioni locali e privati hanno sopperito con donazioni di tablet e altro ma questo digital divide deve essere affrontato dall’intera collettività. Fate bene a richiamare i principi di uguaglianza della Costituzione. Eguaglianza e diritto allo studio sono diritti che devono sempre viaggiare fianco a fianco e le opportunità devono essere offerte allo stesso modo a tutti i cittadini indipendentemente anche dall’età. È questa una delle lezioni più importanti e urgenti che ci giunge dalla gestione dell’emergenza Coronavirus.
Lei ha proposto di bloccare gli aiuti di stato a chi evade nei paradisi fiscali, prendendo esempio dalla Danimarca, che ha deciso di escludere le società con sedi nei paradisi fiscali dai fondi pubblici destinati al sostegno alle imprese per fronteggiare la crisi economica provocata dal Covid-19. Esistono paradisi fiscali anche in Europa? Perché ritiene giusta questa norma?
Non sono io a dirlo ma è evidente che i regimi di tassazione esistenti in Olanda e in Irlanda si presentano come autentica “concorrenza sleale” tra Stati. Ormai è evidente: pensiamo solo quante aziende italiane hanno deciso di trasferire la loro sede legale nei Paesi Bassi. Non è certo una decisione presa perché apprezzano di più il clima di quei territori. Questa situazione deve trovare una fine; per questo dobbiamo arrivare a un’armonizzazione fiscale tra i paesi appartenenti all’Unione Europea.
Non potendo partecipare ad alcun corteo, come onorerà la memoria del 25 aprile?
Parteciperò alle varie iniziative previste, stando a casa e utilizzando al meglio le nuove tecnologie. Sarà un modo per sentirci tutti vicini. Non sarà lo stesso rispetto alle manifestazioni che si snodavano da Corso Venezia al Duomo ma idealmente è un momento importante e invito tutti a esserci.