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Irene Tinagli: l’Italia può farcela. Europa fondamentale, ma dipenderà da noi

Quanto è vera la retorica che vede contrapposte le formiche del Nord dell’Europa alle cicale del Sud?
Confesso che come italiana anche io mi innervosisco quando sento questo tipo di retorica: molti Paesi mediterranei hanno sistemi economici e sociali molto più solidi di quanto dipinto a volte all’estero. Però non possiamo ignorare alcuni numeri. Durante la scorsa crisi tutti i paesi della UE hanno visto aumentare il proprio debito e crollare il proprio prodotto interno. Ma, finita la crisi, quasi tutti sono riusciti a far scendere di nuovo il debito e a far ripartire l’economia, anche molti paesi del Sud, solo noi abbiamo arrancato, oscillando tra riforme e poi controriforme. E questo deve farci riflettere. Non è una questione di essere cicale, è una questione di essere seri e credibili nel perseguire riforme e politiche economiche solide, incisive, che ci mettano nelle condizioni di crescere ed essere pronti per le crisi che, prima o poi, arrivano. E questa serietà spetta a noi, a nessun altro che a noi.

Il Governo italiano oggi è credibile sui tavoli europei?
Un anno fa l’Italia era completamente isolata, il governo precedente era ambiguo nel suo atteggiamento verso l’Europa, non dialogava, minacciava di non mantenere impegni, di non ripagare i debiti, di voler andare per conto suo. Il Governo attuale ha fatto un lavoro eccellente nel saper recuperare un ruolo per l’Italia, creare alleanze, e il fatto che nel giro di poche settimane siano stati messi sul tavolo un ventaglio di strumenti nuovi è anche merito nostro. Ma la credibilità di un Paese non è legata solo al governo in carica, ma al quadro politico nel suo complesso. Molti osservano il dibattito italiano e si chiedono cosa accadrà all’Italia e agli impegni che prende oggi in Europa se domani dovesse nuovamente cambiare governo. Un dubbio che non sorge per altri Paesi, i cui impegni passati sono sempre stati onorati anche con cambi di maggioranza.

La polemica italiana sul MES ha influito su queste percezioni?
Certamente non ha aiutato. Ha dato l’impressione di un Paese in preda al caos, dove alcune forze politiche da un lato chiedono solidarietà ma dall’altro rifiutano a priori degli strumenti potenzialmente utili per questioni di “comunicazione” politica. Per fortuna il Premier Conte alla fine ha capito e ha contribuito a placare un po’ i toni del M5S, e per fortuna non tutte le opposizioni hanno cavalcato questo tema in chiave propagandistica. Devo riconoscere che l’atteggiamento di Forza Italia, in Italia e in Europa, è stato costruttivo e utile.

Ma secondo lei l’Italia dovrebbe accedere al Mes? È uno strumento utile?
Dipende da due fattori: primo, bisogna vedere nel dettaglio tutte le condizioni di questo prestito, perché ancora non sono definite: durata, tassi, restituzione e così via. Secondo, bisogna valutare le alternative. Se l’Italia sarà in condizioni di potersi finanziare a condizioni analoghe o migliori altrove, non ce ne sarà necessità. Visto anche l’andamento dello spread, temo che non sarà facile trovare alternative molto più vantaggiose. In ogni caso dovremo valutare con razionalità tutte le condizioni.

Oggi un articolo di Repubblica ipotizza che “il documento trasmesso ai governi prevede una procedura di vigilanza sui conti dei Paesi che chiederanno l’aiuto del Fondo contro la Pandemia”. Possibile?
Non ho in mano quel testo, ne ho letto dai giornali. Da quel che so si sta lavorando proprio a questo, ai dettagli dei regolamenti, quindi può essere saggio aspettare di vedere il documento finale. In ogni caso mi auguro che il testo che uscirà sia più chiaro possibile su tutti questi aspetti. L’accordo politico esclude programmi di aggiustamenti macroeconomici aggiuntivi, quindi l’accordo finale con i dettagli tecnici del nuovo programma, dovrà rispettare quella volontà politica in maniera chiara, esplicita, senza margini di ambiguità.

Però anche lei ha sostenuto che il MES da solo non sarà sufficiente per rispondere alla crisi e che saranno necessari strumenti più incisivi. C’è già spazio sufficiente per gli strumenti necessari a finanziare la correzione del ciclo economico o è indispensabile metter mano ai trattati per fronteggiare la recessione?
Se c’è la volontà politica degli Stati membri dell’Unione si può già fare molto: abbiamo visto in queste settimane che alla fine i trattati contengono sempre clausole per derogare, sospendere, modificare. Il problema è, appunto, metterli tutti d’accordo sulla quantità e le modalità dell’intervento da mettere in campo. Ed è questo il negoziato in corso sul Recovery Fund.

Lo strumento del Recovery Fund garantito dal bilancio dell’Unione può essere considerato come un primo passo verso la mutualizzazione di debiti futuri?
Potrebbe, ma dobbiamo fare molta attenzione a come impostiamo questo dibattito e questa trattativa. Credo che, se vogliamo vincere le resistenze di molti Paesi europei e portare a casa dei risultati dobbiamo accettare e anzi spiegare che non si tratta di una “mutualizzazione indistinta” del debito, ma che si tratta di condividere i costi e le conseguenze economiche di una emergenza certamente devastante ma delimitata. Se entriamo nella trattativa sperando – o dando l’impressione – che il Recovery Fund possa servirci a rimettere le baby pensioni o a pagare sussidi indistinti, infornate di assunzioni pubbliche senza criterio, non andremo molto lontano. Potrebbe però essere l’opportunità per far fare un salto di qualità nell’intervento europeo in una serie di ambiti di cui non si era occupato prima: spesa e investimenti sociali, sostegno più forte alle politiche industriali. E fare in modo che questi cambiamenti restino in modo permanente.

Fitch ha declassato l’Italia a BBB-, un gradino sopra al «junk», ma lo spread ha tenuto. È un buon segnale.
Mi dispiace questa decisione, anche se poteva accadere che la fase di grande incertezza in cui siamo – con il contagio che riprende quota in alcune parti d’Europa e il timore di ricadute anche da noi – creasse timori tra le agenzie di rating. Ma credo che l’Italia sia in grado di superare questa fase, anche grazie all’intervento delle Istituzioni europee che in queste settimane è stato prezioso: basta pensare alla decisione dell’altro giorno della BCE che ha deciso di modificare le regole sui collaterali per includere anche i titoli di Paesi che hanno subito declassamenti come quello in discussione. Una decisione che ci ha consentito di passare praticamente indenni la giornata di ieri sui mercati. Spread invariato e Piazza Affari in salita nonostante Fitch. E poi c’è chi si lamenta dell’Europa…

A proposito di Europa. Come sono stati organizzati i lavori del Parlamento in questo periodo di lockdown?
È normale che in una fase come questa i riflettori siano sulla Commissione Europea che ha il potere di iniziativa legislativa e sul Consiglio dove gli Stati hanno il potere di veto, ma è importante sottolineare che il Parlamento Europeo non si è mai fermato, e men che meno la Commissione ECON: sin dall’inizio della crisi ho fatto di tutto perché fosse attiva ed esercitasse il proprio ruolo di stimolo e di “controllo democratico” rispetto a ciò che avviene nelle altre istituzioni europee. Ho chiamato in audizione, anche più volte, tutti i principali attori di questa crisi: Commissari europei, Presidente della Banca centrale, dell’Autorità Bancaria, della Vigilanza, il direttore del Mes, il Presidente dell’Eurogruppo, i Ministri delle Finanze degli stati membri…tutti, da noi sono venuti tutti a condividere informazioni, scelte e riflessioni con i membri del Parlamento. Volevo che i rappresentanti dei cittadini europei avessero modo di confrontarsi con i decisori chiave di queste settimane, segnalando problemi, incalzando perché si agisse al più presto. Ci siamo confrontati con la Commissione anche sull’ultimo pacchetto di misure per agevolare i crediti a famiglie e piccole imprese da parte delle banche, annunciato ieri, e sono soddisfatta dell’esito.

Torniamo in Italia: si è aperta la polemica sulla Fase due, lei cosa ne pensa?
L’Italia è un paese straordinario: in poche settimane si è riempita di esperti di epidemiologia, virologi, manager sanitari… Personalmente non ho le competenze per valutare le dinamiche presenti e future del contagio e le misure da adottare. Penso che trovare il modo in cui riaprire le attività economiche senza far ripartire il contagio e senza dover richiudere tra due o tre settimane sia molto difficile. E nonostante a noi piaccia sempre guardare all’erba dei vicini, mi pare che nessun Paese europeo abbia ancora trovato la ricetta magica. La Germania ha riaperto prima, ma ora i contagi sono tornati ad aumentare, e anche la Francia ha ripensato alcune riaperture.

Quindi lei non si accoda a chi critica il Premier, crede che la gestione della crisi sia stata adeguata, crede che, per dirla con Conte, si dovrebbe “rifare tutto quel che si è fatto”?
Comprendere le difficoltà di un momento complesso non significa dire che tutto è fatto alla perfezione, al contrario significa capire che in certi frangenti può capitare di fare errori, ma occorre riconoscerli per migliorare in futuro. Ripeto: non critico la prudenza sulle riaperture, preferisco che su quel fronte il Premier ascolti gli scienziati piuttosto che Salvini, ma credo che potremmo migliorare la capacità di gestione degli effetti della crisi su alcuni fronti, primo fra tutti il tema scuola e cura dei figli. Riaprire le fabbriche con le scuole chiuse pone sfide enormi e mi sorprende che nessuno ci avesse pensato prima. Forse se in tutte queste task force ci fossero state un po’ più di donne, chissà. Un altro tema su cui avremmo dovuto lavorare di più sin dall’inizio è l’organizzazione della fase di rilancio economico, non possiamo pensare che sia solo una questione di stanziare soldi o dare sussidi a fondo perduto alle imprese.

Cosa si potrebbe o dovrebbe fare?
Dico che in questo momento tutti, non solo la politica, si stanno concentrando su sussidi, liquidità e aiuti a fondo perduto ed è comprensibile: adesso dobbiamo tamponare l’emergenza. Il MEF ha attivato tutto l’attivabile, faremo un deficit monstre per sostenere imprese e famiglie, ed è doveroso. Ma poi? Non possiamo reggere così a lungo, non regge l’economia ma neanche lo Stato. Dobbiamo, subito, avere un piano che da un lato crei percorsi rapidi, processi snelli per accelerare gli investimenti, e dall’altro delinei delle direttrici di intervento, delle priorità di investimenti e riforme necessarie per far ripartire il Paese. Ho sentito parlare di un decreto per sburocratizzare, bene. Spero sia pragmatico e rapido. Penso che in questa fase sia urgente identificare i quattro, cinque nodi su cui si arena la maggior parte dei processi di investimento, dove si creano i colli di bottiglia e risolverli in tempi celeri. E soprattutto facciamo in modo che questa analisi mirata non riguardi solo le opere pubbliche. La semplificazione deve riguardare anche altri due fronti: le procedure per gli investimenti privati e quelle per i fondi europei che arriveranno.

Ma ancora non sappiamo quante e quali risorse arriveranno…
Al di là delle trattative di questi giorni, sappiamo già che nei prossimi mesi e il prossimo anno arriveranno molte risorse dall’Unione Europea: siamo pronti a spenderle in modo celere, efficiente ed efficace? Abbiamo in mente alcuni grandi progetti di modernizzazione necessari non solo per non far collassare l’economia ma per renderla più competitiva? Sappiamo quali infrastrutture sociali, digitali o fisiche ci servono per ripartire? O abbiamo in mente una distribuzione più o meno random che vada a finanziare un po’ di rotonde o qualche bed and breakfast? Questo è il lavoro che dovremmo fare adesso. Non rimandarlo a dopo. Tra l’altro con le idee più chiare da subito su cosa vogliamo fare, con progetti e riforme da finanziare già sul tavolo, diventapiù facil anche negoziare in Europa, attrarre investitori e apparire seri e credibili sulla nostra capacità di tornare a crescere e mantenere i nostri impegni.

Pensa davvero che l’Italia possa farcela?
Sì. L’Italia è un Paese che ha moltissime risorse e più di una volta è stata in grado di risollevarsi con grande determinazione anche in condizioni difficili. Deve credere in sé stessa e smetterla di piangersi addosso cercando colpevoli o capri espiatori. Ci si rimbocca le maniche e si lavora. Ieri abbiamo seguito tutti con emozione la posa dell’ultimo pezzo del Ponte di Genova. Questo deve essere un messaggio per tutti: l’Italia può farcela.

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