Professore, quali rischi corrono oggi le libertà personali per effetto dell’incremento dell’invasività della presenza pubblica? I nemici della società aperta approfittano dell’emergenza?
Come i grandi maestri del liberalismo ci hanno insegnato, il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. Non possiamo distrarci nemmeno per un momento. C’è un’esemplare e nota pagina, in cui David Hume ci esorta a preferire le regole agli uomini. Quando per una qualunque emergenza le regole vengono allentate o addirittura messe da parte, la nostra vigilanza deve aumentare. Non tutti comprendono i vantaggi di cui ci rende beneficiari la società aperta. Molti s’illudono che la semplificazione prodotta dalla centralizzazione delle decisioni possa essere la permanente soluzione di ogni problema. E si rendono in tal modo disponibili alla propaganda di facili demagoghi. Gli impresari della menzogna hanno più volte, nel corso della storia, portato all’imbarbarimento di popoli che pur sembravano percorrere le vie della civiltà. Uno sguardo rivolto al Novecento e alle sue tragedie dovrebbe essere sufficiente a ricordarcelo.
La situazione geopolitica, già in vistosa trasformazione negli ultimi anni, sta subendo delle alterazioni per effetto delle misure adottate dalle varie nazioni in risposta alla diffusione del virus. Sembra che, dall’America di Trump alla Cina di Xi Jinping, ci sia un denominatore comune costituito dal rafforzamento dell’identità collettiva a danno della libertà individuale di scelta.
Gli equilibri fra le nazioni non sono mai definitivi. Anche quando non ce ne accorgiamo, la situazione geopolitica è sempre in trasformazione, perché lo stato di quiete non fa parte della condizione umana. Vedremo come si metteranno le cose. Non collocherei però sullo stesso piano la posizione americana e quella della cinese. Gli Stati Uniti sono un Paese libero. Hanno oggi alla loro guida un uomo che può non piacerci. Ma egli non potrà sovvertire le regole del gioco. Potrà guadagnare un altro mandato presidenziale. Ma l’illusionismo, di cui a volte si serve, non potrà cambiare la storia e le istituzioni americane. Per analizzare il funzionamento della democrazia liberale, Alexis de Tocqueville è andato negli Stati Uniti. Non ha pensato minimamente alla Cina, il cui comunismo è nato sulla solida e lunga tradizione del “dispotismo orientale”. È perciò inquietante sentire talvolta dai commentatori nostrani, con tono molto mite e accondiscendente, che quella cinese è una democrazia diversa dalla nostra. Abbandoniamo ogni infingimento: il comunismo cinese è una versione dello Stato totalitario. Come mostra la sua storia e come mostrano anche le vicende di Hong Kong, è un Paese che non conosce la libertà individuale di scelta e che anzi la conculca sistematicamente, perché questo è il principio di base della stessa esistenza. Vedendo le cose dall’esterno e facendoci ingannare dalla propaganda politica, pensiamo forse che la sua crescita economica sia inarrestabile e che di fronte al Paese ci sia un florido e indisturbato futuro. Nessuno avrebbe pensato che l’impero sovietico sarebbe crollato da un momento all’altro. Ci sono stati economisti occidentali, penso a Paul Samuelson, i quali tranquillamente affermavano che l’economia comunista avrebbe presto superato quella capitalistica. Sappiamo come sono andate a finire le cose. Non diversamente da tutti i regimi che impediscono la libertà, quello cinese ha una sua interna e indubbia fragilità. Proprio lo sviluppo economico potrebbe condurre a insanabili conflitti interni e alla fine di quell’impero.
Venendo al nostro Paese appare macroscopica l’incapacità di coordinamento tra le diverse autorità sanitarie. Com’è possibile far convivere l’autonomia territoriale con le esigenze di coordinamento che si palesano in periodi come quello che attraversiamo?
Molte delle polemiche a cui assistiamo sono frutto di tatticismi politici. Qualcuno potrebbe dire che questo è il calice amaro a cui ci costringe la democrazia. Ma sarebbe una diagnosi frettolosa e piccina: perché non tiene conto che, in mancanza di istituzioni liberali, dovremmo coercitivamente e illimitatamente trangugiare veleno e l’oppio ideologico che spegne ogni capacità critica. L’esasperato tatticismo di oggi è ciò che nasce quando le classi dirigenti smarriscono il significato del compito a cui sono chiamate, o non sono consapevoli delle responsabilità che ricadono su di esse. L’autoreferenzialità di taluni attori politici può sfuggire solamente a chi non vuol capire. Al pari di tutta la vicenda umana, la politica è un dramma. E può facilmente trasformarsi in una tragedia. Scrivendo in una temperie più grave di quella di oggi, Max Weber lamentava che agli attori sociali mancasse la consapevolezza della tragicità di cui è intessuta ogni attività umana, soprattutto l’attività politica. Dovremmo riflettere su ciò.
C’è una grande domanda di una forza politica liberale e manca l’offerta. Cosa fare?
È un interrogativo a cui è non è facile rispondere. C’è indubbiamente un’offerta politica incapace di dare risposte alle richieste dei liberali. Il che è molto grave: perché significa non poter utilizzare l’unica bussola che consentirebbe al nostro Paese di potersi di misurarsi con le sfide che abbiamo davanti a noi. Le forze politiche in campo sono prevalentemente votate a una politica redistributiva, che conduce necessariamente alla dilapidazione delle risorse e alla caduta della produttività. Le vicende di questi giorni ci pongono in una situazione davvero difficile. Nella sua ultima intervista, Friedrich A. von Hayek, lo studioso che nel Novecento ha meglio incarnato l’idea liberale, ha richiamato indietro il suo intervistatore. E gli detto: per sconfiggere l’interventismo statale, i liberali devono essere degli “agitatori”, devono cioè impegnarsi senza risparmio di energie. Ha poi aggiunto: se l’economia globale dovesse bloccarsi, la popolazione di interi Paesi morirebbe di fame. L’ultima lezione di Hayek può gettare una penetrante luce anche sulle nostre attuali giornate e sulle scelte che saremo chiamati a compiere.
Quale libro consiglierebbe di leggere durante quel che rimane dell’isolamento?
Vorrei segnalare le belle pubblicazioni della “Biblioteca Austriaca”, la collana editoriale che ho fondato a metà degli anni Novanta presso l’Editore Rubbettino. Tanto per cominciare, suggerirei Liberalismo, un agile volume di Hayek, che può aiutare coloro che delle idee liberali sanno poco. E può anche confortare il sentimento politico di quanti, come noi, sanno che l’assenza di libertà equivale alla barbarie.
- Lorenzo Infantino è professore di Filosofia delle Scienze Sociali alla LUISS di Roma e studioso noto in ambito internazionale per i suoi lavori di ispirazione liberale. E’ coordinatore dell’Adivisory board del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi