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Addio a El Trinche, l’idolo di Maradona

Si può morire anche senza il coronavirus in questi tempi inediti, morire senza calcio ma con l’omaggio di tutto lo stadio. El Trinche è andato via così, con i tifosi sugli spalti che invocavano il suo nome piangendo. Figura leggendaria del calcio latinoamericano, poi conosciuto in tutto il mondo, sfuggito – vogliamo pensare per sua fortuna – al pallone dei ricchi, quello che dà la gloria e il denaro, ma meglio avere solo la felicità di tirare calci a una palla. Non poteva che essere latinoamericano, Tomás Carlovich, nato a Rosario nel 1946 e morto l’8 maggio nella sua città, perché qualcuno lo ha colpito con un pugno per rubargli la bicicletta. Di lui Maradona ha detto che è stato il più grande, sì, Diego Armando Maradona, avete letto bene. “Il più grande calciatore che non avete visto giocare”, così disse di lui Cesar Luis Menotti, non vinse nulla ma la sua carriera ha raggiunto l’apice nel 1974, quando la nazionale argentina gioco contro una selezione locale di Rosario una partita di rifinitura, prima del mondiale. Quel giorno il Ct dell’Albiceleste pretese che El Trinche venisse lasciato negli spogliatoi alla fine del primo tempo, perché non poteva continuare ad assistere all’umiliazione dei suoi campioni.

Su Carlovich si sono costruite storie tra realtà e finzione e non poteva che essere così per un personaggio straordinario, che avrebbe potuto vivere nelle pagine di uno dei grandi autori delle letteratura latinoamericana. Basta una breve ricerca su internet per trovarne in abbondanza e anche per sfatare qualche leggenda narrata ad arte, perché il calcio ispira e il talento puro che non arriva in Europa è sconvolgente per i nostri cliché, ma lui voleva solo giocare. Entrato per l’ultima volta nel suo stadio, El Trinche, l’unico che Maradona ha chiamato maestro, per tutta la vita e anche l’ultimo giorno ha avuto per compagno il pallone.

Ultimo di sette fratelli, figlio di un immigrato, El Trinche probabilmente è tra noi, tra i ragazzi che giocano a pallone per strada, nei campi sterrati, sulla spiaggia. Provate a fermarvi quando li vedete giocare. Ma non per diventare agente della futura stella che porterà ricchezza e successo, veline e passaggi tv. Fermatevi a osservare il dio del calcio che protegge e ispira, gustate la felicità di un gol e di un dribbling. Potreste vedere un ragazzino che ha imparato il colpo più spettacolare di Tomás Carlovich, quel doppio tunnel avanti e indietro che eseguiva a richiesta dagli spalti.

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