Cinquant’anni fa vedeva la luce una legge intitolata “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Noi la chiamiamo Statuto dei lavoratori, ma le sue norme sono dedicate anzitutto a tutelare la libertà e la dignità di chi lavora. L’approvazione della legge si colloca nel novero delle conseguenze della trasformazione del lavoro da rurale ad industriale nel secondo dopoguerra e, come spesso accade di fronte ad una prospettiva mai sperimentata, fu la forza, quella contrattuale in questo caso, ad imporsi. Con tutto il corollario di abusi che la forza incontrollata porta con sé. Di qui le proteste dei lavoratori, le lotte sindacali, il percorso parlamentare fino all’approvazione della legge.
Negli anni è diventata tante cose, quella legge: feticcio, vessillo, vestigia di un passato oramai risolto, ostacolo alla libertà d’impresa, documento sacro. Come tutte le umane cose, e quelle normative in particolare, anche la legge 300 del 1970 rispondeva ad esigenze concrete, talvolta minute, e che nel tempo possono essere cambiate e perfino scomparse. Cosa, questa, che rende non soltanto utile ma talora indispensabile modificare e ripensare questa come qualunque altra legge. Ma qualcosa resta di inamovibile nello Statuto poiché esso realizza la prima costituzionalizzazione del mondo del lavoro. In proposito la dice lunga il fatto che occorresse, cinquant’anni or sono, mettere nero su bianco che l’imprenditore impiegasse le guardie giurate soltanto a tutela del patrimonio aziendale. A che cosa d’altro potrebbero esser mai dedicati i loro servizi? O, più propriamente, a che cosa d’altro erano stati dedicati? Occorse addirittura vietare all’imprenditore di effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose e sindacali dei lavoratori sia prima che dopo l’assunzione. Proprio norme come queste rappresentano la reale, profonda e irrinunciabile eredità dello Statuto: l’introduzione di diritti enunciati in Costituzione ma che nel mondo del lavoro faticavano ad essere riconosciuti. Fuori dalle contrapposizioni in cui lo Statuto oggi viene trascinato, questo resta: in altre forme se si vuole, con nuovi accorgimenti se si crede, libertà e dignità del lavoro, in una Repubblica che su di esso è fondato, devono restare intangibili. A meno di non voler credere a magnifiche sorti che impediscano oggi, a coloro ai quali convenga, di esser tentati di ridiscutere la libertà e la dignità di chi lavora.
Cinquant’anni di Statuto: la costituzionalizzazione del mondo del lavoro
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