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Sabino Cassese: a Palazzo Chigi inusitato accentramento. Voto prossimo allo zero

I conflitti tra regioni e Stato in questi ultimi mesi sono stati rilevanti. Come giudica lo squilibrio ormai consolidato tra il governo nazionale e i vertici regionali?
Lo squilibrio prodottosi durante la pandemia ha due fonti. La prima è congiunturale, e dipende dalla errata interpretazione governativa iniziale della materia su cui si interveniva. Si trattava e si tratta di profilassi internazionale, spettante interamente allo Stato. Questo non vuole dire che i terminali operativi non fossero le aziende regionali sanitarie, ma che queste dovevano agire in funzione di direttive nazionali. La seconda fonte dello squilibrio è strutturale e sta nella diversa investitura dei vertici regionali rispetto a quello nazionale. I primi sono eletti direttamente e sono dotati di poteri di tipo “presidenzialistico”. Il secondo è quello proprio di un regime parlamentare puro, quindi debole. Debolezza accentuata dal carattere della coalizione governativa, episodica e casuale, e dalla inesperienza di molti membri del governo e dei loro staff.

A chi tocca l’istituzione delle famigerate “zone rosse” in caso di emergenza sanitaria? Si assiste a un imbarazzante scarico di responsabilità. Cosa non ha funzionato?
La scelta iniziale di dimenticare che si tratta di profilassi internazionale, che spetta in esclusiva allo Stato. Ciò non vuol dire che lo Stato non potesse consultare le regioni. A che serve altrimenti la Conferenza stato – regioni?

Dal 23 febbraio ad oggi sono stati prodotti numerosi Decreti legge e DPCM. Quale voto darebbe ai tempi, alle modalità e alle risposte dello Stato all’epoca del Covid19?
Innanzitutto, a chi dare il voto? Direi a Palazzo Chigi, visto che c’è stato un inusitato accentramento: lì si sono prodotti i provvedimenti da cui siamo stati deliziati. Il voto è prossimo allo zero. Le norme e gli atti amministrativi sono stati scritti da persone che sono apparse digiune di conoscenze dell’italiano, del diritto, della logica, del buon senso. In molti casi, chi redigeva si limitava a metter insieme richieste, proposte, progetti di altri, incollandoli. 

Quello di limitare l’esercizio di culto da parte della presidenza del Consiglio per DPCM è stato un eccesso di potere?
Chiaramente un atto che viola la Costituzione, violazione della cui gravità a Palazzo Chigi non ci si è neppure resi conto. Leggo che la violazione avrà un seguito giudiziario, come i giuristi attenti potevano prevedere.

Si è sottovalutata forse la proroga dello stato di emergenza per ulteriori sei mesi. Quali possono essere le conseguenze di lungo periodo per le Istituzioni delle scelte operate nel periodo di emergenza?
Il tema della proroga dello stato di emergenza è ancora aperto. Sarebbe bene che con l’inizio di agosto si abrogassero tutte le norme di emergenza, salvo alcuni interventi economici. Il protrarsi di queste emergenze è pericoloso, come dimostrato dalla legge fatta adottare dalla sua maggioranza parlamentare da Orbán.

I politici provano a comunicare direttamente con i cittadini, creando una nuova piazza virtuale. Cosa pensa di questa nuova modalità di “fare politica”?
La pandemia e l’allarme sociale prodotto ha fornito un “teatro”, e chi governa, a tutti i livelli, si è subito sporto sul proscenio. Le conseguenze si pagano, però, perché i prim’attori sono anche diventati parafulmini. Il Parlamento e i Consigli regionali non hanno valutato le conseguenze del vuoto che hanno lasciato con la loro inattività. La politica, quindi, non potendosi svolgere nei luoghi deputati, si è svolta in un dialogo vertici-base, introducendo elementi propri del presidenzialismo in tutto il sistema, con conseguenze che per ora non sono visibili quanto alla loro gravità.

Il maggior tempo che i giovani trascorrono sul web li può rendere più esposti alle fake news? Come fare per combattere questa disinformazione organizzata e rivolta soprattutto ai cittadini più deboli?
La disinformazione non si combatte né con cesure, né con filtri, ma diffondendo notizie corrette. Ad esempio, se si svuole smentire l’opinione diffusa secondo la quale gli immigrati in Italia sarebbero tre volte il numero corretto, occorre che l’Istat si svegli e faccia circolare più di frequente dati corretti.

Se è vero che la pandemia non ha fatto distinzioni sociali e culturali nell’attaccare le persone, ha senza dubbio distinto i poveri dai ricchi nell’affrontare le conseguenze del lockdown. Le disuguaglianze sociali e culturali sono aumentante?
Più che il divario ricchi-poveri, direi che è rilevante il divario tra chi aveva uno stipendio e/o una pensione assicurata e chi dipendeva dal lavoro quotidiano o mensile per ottenere un’entrata: l’artigiano, il tassista, ad esempio. Purtroppo, l’intervento risarcitorio dei due decreti legge economici ha distribuito a pioggia finanziamenti, che vanno anche a chi era nell’area protetta, creando ulteriori disparità. Vi è stata inoltre la diseguaglianza tra gli “smart worker”, molti dei quali hanno lavorato duramente, mentre alcuni hanno solo contato sui rinvii (nel settore pubblico si sono verificati i casi peggiori).

Spesso si attacca la “burocrazia”, additandola come responsabile di tutti i mali del Paese. Ma a chi risponde la burocrazia?
Questa diffusa lamentale relativa alla burocrazia, in realtà va “spacchettata”. Una grande parte di responsabilità di ciò che si lamenta risale al Parlamento-legislatore, per il modo in cui deborda legiferando e amministrando nello stesso tempo, per il modo in cui configura i processi di decisione, per la quantità di controlli inutili ma frenanti che introduce, per le sanzioni spropositate che mette sulle spalle degli amministratori. Poi, vi sono le responsabilità della burocrazia stessa. Ma anche qui bisogna distinguere. Da una parte, vi sono gli staff dei ministri che sono troppo spesso digiuni di qualità manageriali, con “expertise” esclusivamente giuridica. Dall’altra, vi sono i burocrati del “surtout pas trop de zèle”, del rinvio, del “meglio non fare”. In mezzo, ci sono anche molti bravi e volenterosi servitori dello Stato, frustrati, avvinghiati da controllori invadenti, scoraggiati. 

È sufficiente riformare il codice degli appalti per far ripartire e soprattutto concludere le grandi opere in Italia?
Punto di partenza, si dovrebbero dotare gli uffici pubblici di tecnici in grado di progettare, collaudare, seguire l’esecuzione delle opere. Due terzi del personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è composto di personale amministrativo. Non dovrebbe essere il contrario? Quanto al codice, basterebbe importare in Italia la direttiva europea, di cui il codice è l’attuazione. Solo che nell’attuare la direttiva si sono aggiunte molte norme impeditive, specialmente a causa dell’Anac, che alla corruzione non pone rimedio, ma blocca invece le amministrazioni, richiedendo adempimenti inutilmente defatiganti.

Nel 1970 in pochi mesi sono state approvate la legge che disciplina il referendum, quella per l’attuazione delle regioni a statuto ordinario, lo statuto dei lavoratori e l’istituto del divorzio. Cosa portò a quell’accelerazione normativa?
In quell’anno venne a maturazione il “disgelo costituzionale”, arrivò a una fase di maturazione l’accordo, che aveva allargato le basi dello Stato, tra DC e PSI. Questo spiega l’accelerazione.

Dopo l’esito del referendum del 2016, quando pensa che si potrà riproporre una nuova riforma della Costituzione? Ritiene necessaria la convocazione di una nuova Assemblea Costituente o è sufficiente procedere con l’art. 138?
Dopo più di un trentennio di tentativi, è meglio rinunciarci, e dedicarsi ai “rami bassi”, alla riforma amministrativa.

Quest’anno gli italiani saranno chiamati a votare un referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Cosa pensa della riforma e ritiene corretto accorpare, come sembra essere nelle intenzioni del governo, un referendum costituzionale con le elezioni amministrative?
Il taglio è motivato con il risparmio, che è infinitesimo (credo che Cottarelli abbia calcolato che riguarda lo 0,07 del bilancio dello Stato). Di fatto, è un attacco alla democrazia rappresentativa. L’accorpamento delle votazioni, temuto dai contrari alla riduzione, potrebbe risolversi in un vantaggio, perché più persone andranno a votare e tra questi vi potrebbero essere schiere di votanti che ritengono la riduzione dannosa per una adeguata rappresentanza della società.

La Corte Costituzionale ha più volte ribadito che il compito della formula elettorale è di assicurare rappresentatività e governabilità. Ritiene che la formula migliore, anche per le politiche, sia quella delle regioni?
Le ultime vicende mi hanno fatto ripensare alla opportunità di introdurre elementi presidenzialistici nel sistema a livello nazionale. Un sistema parlamentare rafforzato, alla tedesca, forse, è la soluzione migliore. Le istanze verticistiche, il protagonismo, il leaderismo conducono facilmente al bonapartismo e al cesarismo.

Sta emergendo un clima preoccupante all’interno della magistratura italiana. Si può arrivare allo scioglimento del CSM? Come ritiene che vada riformata la magistratura? È il momento di procedere con la separazione delle carriere?
La separazione è diventata una necessità, imposta dalla stessa magistratura, nel sacrificio che si è autoimposto (quello che si sta disvelando sul modo in cui si agiva dietro le quinte è opera della magistratura stessa, che si sta di fatto auto incolpando, mettendo in piazza i suoi difetti). La diagnosi e la prognosi sono state fatte. Occorre che la giustizia sia rapida. Occorre che le procure cessino di essere attori politici. Occorre che il CSM sia composto da persone che rappresentano davvero la magistratura, non da maneggioni.

Oggi 2 giugno è festa della Repubblica. La forma repubblicana non è oggetto di revisione costituzionale, chiosa la Carta. Se non è un fatto solo nominalistico, quali sono i nostri valori immutabili?
Salva la forma repubblicana, noi non abbiamo “clausole eterne”, quindi non emendabili. La legge fondamentale tedesca ha invece molte norme che sono dichiarate “eterne”. Tuttavia, alcune sentenze della Corte costituzionale italiana hanno affermato che i primi 12 articoli della Costituzione, che contengono i “principi fondamentali” sono immodificabili. Ad esempio come si potrebbe tollerare una violazione del principio di eguaglianza.

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