Italia – Germania 4-3. Sono passati 50 anni. Alla fine dei 90 minuti non era stata una partita indimenticabile. Poi sei gol in 21 minuti. Come è diventato il match del secolo?
L’Italia conduceva sino al tempo di recupero, poi la Germania pareggiò con Schnellinger, che in quella partita ha segnato l’unico gol della sua carriera. Lo ha fatto anche per caso: stava andando verso gli spogliatoi, che erano dietro la nostra porta, e non voleva incrociare gli sguardi dei compagni di squadra milanisti. Si è trovato lì per caso e ha fatto il pareggio. Da quel momento è successo di tutto. Sono andati in vantaggio loro in modo abbastanza casuale e poi noi abbiamo recuperato. Poi il gol del loro pareggio mi ha visto coinvolto: diciamo che non era quello il mio posto.
Ma che ci faceva sulla linea di porta in occasione del 3-3?
Non so neppure io che ci facevo. Eravamo in fase difensiva, vincevamo 3-2, stavamo difendendo tutti. Su quel calcio d’angolo ho visto che nessuno era andato sul palo e ho pensato di andarci io, che ero lì vicino.
Non ha avuto la tentazione di metterci una mano?
Non ci ho neanche pensato, non è nella mia cultura toccare la palla col braccio, soprattutto volontariamente.
E menomale che non lo ha fatto, altrimenti non avrebbe segnato il gol forse più importante della sua carriera.
I gol sono belli tutti ma ce ne sono alcuni che lasciano maggiormente il segno. Quello in modo particolare, soprattutto per come è avvenuto. Nel calcio attuale sarebbe stato impossibile fare quel gol. Adesso quando cominciano l’azione, all’inizio della gara o dopo un gol, invece di andare avanti tornano indietro.
Albertosi si è arrabbiato?
Diciamo che non era divertito. Gli ho detto: mi tocca fare gol altrimenti non posso tornare in Italia.
E cosa decise di fare?
Andai in mezzo al campo e mi feci dare la palla pensando: ora dribblo tutti i tedeschi e vado in porta. Quando vidi tutto quel “bianco” mi resi conto che non sarebbe stato possibile, così ripassai la palla a De Sisti, che la diede a Facchetti, che la allungò verso Boninsegna, che intanto si era allargato un po’ sulla sinistra, mentre Gigi Riva era venuto verso il centro. Io seguivo l’azione. Boninsegna non ha potuto tirare in porta e l’ha messa in mezzo: la mia prima idea era di calciare col collo sinistro nell’angolo opposto. Quando ho intuito che il portiere, che era in ritardo, si stava tuffando dall’altra parte, ho cambiato direzione e piede, tirando e segnando col destro.
Davvero difficile a quel punto immaginare di non giocare la finale. Lo ricorda con rammarico?
La cosa che mi ha rammaricato di più è che la partita ideale per me sarebbe stata col Brasile, con quel Brasile in particolare, perché loro giocavano sempre per fare un gol in più degli avversari, non per difendersi. Sarebbe stata la mia partita. Però quando la politica si interessa, tra le varie cose, anche di calcio, finisce per fare un sacco di danni.
Ora che è diventato allenatore cosa pensa: Rivera e Mazzola potevano giocare insieme o aveva ragione Valcareggi?
Con Mazzola, prima e dopo quel mondiale abbiamo sempre giocato insieme. In quel mondiale pare che non ci fosse compatibilità. Quando la politica si intromette di danni ne fa una valanga. E purtroppo la politica sportiva è anche peggio. Qualcuno ha subito quella decisione.
Fu imposta una staffetta a prescindere dal risultato?
Decidere di far giocare a due giocatori un tempo a testa, a prescindere dal risultato alla fine della prima frazione di gioco, è un’assurdità che nessuno riuscirà mai a comprendere. Però è stato fatto e la cosa strana è che è andata bene.
È pronto davvero ad iniziare la sua nuova vita da allenatore?
Avevo fatto i primi due corsi perché come presidente del settore tecnico volevo capire come funzionava l’insegnamento. Dopo l’addio di Conte alla Nazionale, Tavecchio chiese a Ceferin, presidente dell’Uefa, se mi poteva essere concesso il titolo di allenatore di prima categoria. Lui gli chiese una lettera. Tavecchio la scrisse e Ceferin risposte che non era possibile. Così ho dovuto fare il corso, come tutti gli altri.
Si tratta solo di aspettare l’offerta giusta e la vedremo nuovamente in campo?
Tanto in campo non ci vado io ma i giocatori. L’allenatore bravo è quello che fa meno danni.
Il più grande tra gli allenatori è stato Nereo Rocco?
Io ho un ricordo eccezionale di Rocco, di Liedholm e di Fabbri. Sono i tre allenatori che mi hanno dato molto e mi hanno fatto capire che erano bravi soprattutto perché non impedivano ai giocatori di giocare al loro modo.
È stato espulso solo una volta, a fine carriera, durante una tournée in Sudamerica, nel 79. Sono riusciti a far saltare i nervi anche all’Abatino?
Ero andato da capitano a protestare con l’arbitro perché aveva concesso di fare una cosa contro il regolamento. Lui si è arrabbiato e mi ha espulso. Era un argentino anche lui e ne ha approfittato per mandarmi fuori.
Nato in modo quasi spregiativo da parte di Brera, Abatino le è rimasto cucito addosso per sempre. Lo ha mai ringraziato Brera?
In realtà lui aveva definito abatini il trio della Nazionale di Fabbri: Bulgarelli, Mazzola ed io. Poi l’unico che gli ha risposto sono stato io e così sono rimasto solo io l’abatino. Ma con Brera abbiamo avuto un ottimo rapporto: mi invitava al suo ristorante, dove non voleva nessuno, neanche giornalisti, che lui non chiamava colleghi.
Cosa le disse?
Mi ha invitato al ristorante e mi ha detto: lei deve tornare a giocare in nazionale perché sta facendo un grande campionato. Abbiamo avuto un ottimo rapporto anche perché ho gradito molto un vino rosso che ha tirato fuori dopo aver mangiato pesce. A quel tempo si beveva solo vino bianco col pesce. Brera ha voluto una bottiglia di rosso che io ho gradito molto. Da quel momento siamo rimasti in ottimi rapporti.
Anche in politica ha avuto successo. Parlamentare nazionale ed europeo, sottosegretario alla Difesa. Come vive lo spirito antieuropeista montato negli ultimi anni in Italia?
L’opera iniziata in Europa è bene concluderla. Purtroppo la costruzione della Comunità Europea si è fermata a metà. Serve un esercito e una politica estera unica.
L’Italia può fare a meno dell’Europa?
Assolutamente no. Dobbiamo far capire a chi la pensa diversamente che è un errore. Soffriranno anche gli inglesi di questa scelta.
Da uomo di sport e politico, cosa pensa della ripresa dello sport senza pubblico? È lo spettacolo che deve andare avanti oppure è il segnale della vita che riprende?
Piano piano faremo in modo che la gente torni ad andare negli stadi. Adesso è bene aspettare, ma io credo che sia giusto far tornare presto il pubblico negli stadi. Il calcio senza pubblico non ha senso. Noi giocavamo all’oratorio senza pubblico però qui è un po’ più grande il campo.