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La maleducazione delle non decisioni sulla scuola

Ricordo ancora il mio libro di Educazione civica: aveva il tricolore in copertina. Non era particolarmente voluminoso: un centinaio di pagine, credo. Frequentavo le scuole medie, questo lo rammento con certezza, anche se non so dire con precisione se era un insegnamento previsto già in prima o forse in terza. Altro particolare che ricordo distintamente è che la materia era affidata alla cattedra di italiano. Una scelta particolarmente fortunata nel mio caso, perché la professoressa di Lettere della sezione A della scuola media di Reggio Calabria intitolata a Ibico, poeta della Magna Grecia, era il prototipo dell’insegnante che ogni alunno dovrebbe avere negli anni della formazione primaria: preparata, severa, capace, appassionata, materna. Ricordo che sceglieva con cura se definire alcuni miei compagni scostumati o maleducati: con la seconda definizione, sottolineava, si coinvolgeva anche la famiglia, che era e resta il primo nucleo educativo. Non era una distinzione di poco conto.

Alla famiglia, per la formazione dei giovani, seguiva e segue la scuola con i suoi insegnanti; l’istruttore dello sport che si sceglie di praticare; il maestro dell’hobby che si decide di approfondire: l’educatore dell’associazione – laica o religiosa – che si stabilisce di frequentare. Non esistevano i social a quei tempi. Da pochi anni erano comparse le prime tivvù commerciali, che un ruolo determinante avrebbero avuto nel cambiamento delle abitudini delle famiglie italiane e anche nel ridefinire l’idea di famiglia, società, cultura e morale. Ma questa è un’altra storia e ne parleremo in altra occasione.

Stiamo parlando dei primi anni ottanta. Quarant’anni fa. Insomma, in quegli anni si insegnava ancora l’Educazione civica a scuola. L’aveva inserita Aldo Moro nel 1958. Aldo Moro, 1958 (niente, mi andava di ripeterlo). Piano piano, riforma dopo riforma (una a ministro, quasi) questa disciplina fu prima accorpata, poi diluita, sino a scomparire. Poco da sorprendersi se pensiamo che si è arrivati ad eliminare pure l’insegnamento della storia contemporanea, affidandone l’esclusiva – nel migliore dei casi – a Wikipedia.

Oggi il ministero dell’Istruzione ha inviato a tutte le scuole le linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica. “A partire dal prossimo anno scolastico, il 2020/2021, questo insegnamento, trasversale alle altre materie, sarà obbligatorio in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dalle scuole dell’infanzia” recita un comunicato del governo. Resta da capire che vuol dire “trasversale alle altre materie”. Ha un po’ il sapore della vaghezza, della precarietà, dell’indeterminatezza. Della beffa insomma. Tanto quanto le indicazioni, che ancora il ministero non ha diffuso, sui tempi e i modi della ripresa dell’insegnamento in classe.

Speriamo che gli editori facciano in tempo ad aggiungere una ultima pagina al nuovo libro di Educazione civica (se ce ne sarà uno, considerata la trasversalità). Basterebbe anche un allegato, un volantino inserito nella quarta di copertina, per spiegare agli studenti che lo Stato funziona quando valuta e sceglie ciò che è meglio per i cittadini e la comunità in tempi rapidi e certi, quando decide e ha il coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Tutto il contrario di quello che è successo da quando a causa della pandemia, per primi in Europa e nel mondo, abbiamo chiuso le aule. Perché sulla scuola è arrivato il tempo che il governo decida. Non farlo ancora, come direbbe la mia insegnante di Lettere e di Educazione civica, è da maleducati (con riferimento alle famiglie politiche, ovviamente).

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