Davanti a un taglio di Lucio Fontana, all’ascolto di una partitura di Stockhausen, ad un tentativo destrutturante di Perec, guardando basiti Carmelo Bene in delirio. Quando ancora, nel 2020, affermiamo assertivi: “potevo farla anche io. Com’era semplice e bella l’arte del passato!” A tali domande di comune sentire oppongo un legittimo dubbio e dico: ne sei sicuro, buon padre di famiglia che cammini smarrito tra i corridoi di una Galleria d’arte contemporanea? Se ti dicessi che dietro l’apparente semplicità di un Raffaello si cela una quantità di significati coltissimi e nascosti, da fare impallidire l’action painting di Pollock; che la lettura e la comprensione (la comprensione!) della Divina commedia sono di un’arditezza estrema; che all’ascolto di un gregoriano d’età medievale rischieresti di smarrirti come in un labirinto. Se, infine, ti costringessi a considerare tutte le implicazioni e i rimandi classicisti dell’Orfeo di Monteverdi o del Macbeth di Verdi, saresti ancora sicuro che l’arte del passato, così semplice, così piana all’apparenza, sia maggiormente comprensibile di un Quadrato nero su fondo bianco?
O forse non sarebbe meglio accettare la propria caduta verso il fondo del barile, fino alla raschiatura, e da lì risalire con un atteggiamento più curioso, paziente ed interessato a questo novecento così vilipeso dalla nostra grassa ignoranza? Perché, a ben vedere, anche se tu non lo sai, l’attuazione della civiltà costituzionale che garantisce tanto a te quanto a me la pubblica istruzione, la sanità pubblica, il pubblico impiego (tutto ciò che è patrimonio della polis contemporanea, per dirla in breve), deve molto – per quanto strano possa sembrarti – anche ai Pasolini, ai Montale, ai Nono, ai Kounellis, agli Stratos, agli Eco, ai Vedova, ai Fontana, ai Ronconi di turno. Perché oggi, a bocce ferme, avremmo tutti gli strumenti necessari per comprendere appieno il ruolo svolto dalle avanguardie storiche e dalle neo avanguardie nella composizione (faticosissima, per nulla scontata) di una società che possa dirsi moderna, repubblicana, democratica, egalitaria, ecumenica e cosmopolita. Quella res pubblica in cui tanto io quanto tu possiamo spararle grosse senza che qualcuno ci venga sotto casa la sera a manganellarci e portarci al confino.
Allora, quando alla prossima gita aziendale ti ritroverai davanti a un apparente pasticcio di colori, fermati un altro poco a pensare. Nel tragitto che ti porta verso l’indigesto museo d’arte contemporanea, leggi qualche libro in più e qualche cronaca sportiva o rivista mondana in meno. Alla plutocrazia (sic) degli smartphone e dei social opponi (è questa l’impresa eroica e più ardita, pensa un po’, a cui saresti chiamato) un minuto di sana contemplazione e sospensione del giudizio. La vita ti apparirà più sapida e quel secolo in cui sei nato tuo malgrado, meno ostile e incomunicante di quanto tu possa credere e trasmettere ai figli.