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Ennio Morricone: musica come patrimonio immateriale

Esiste nella vita di ciascuno di noi un processo chiamato “recupero del piacere primordiale” che si verifica ogni volta in cui viviamo una fortissima emozione, per esprimere il concetto in termini estremamente semplici. É un meccanismo del tutto soggettivo che prescinde dal gusto personalissimo e dall’oggetto rievocato. Io la chiamo esperienza “extracorporea”, da non intendere in accezione medico-psicoanalitica. Semplicemente quel momento perfetto in cui la vista si ammanta di una nebbiolina di incredulità, ci si guarda intorno e ci si accorge come tutto il mondo partecipi a quello stato di grazia corporeo. 

Attraversare l’arco di Via Monte Sant’Agata a Catania in compagnia di chi regala “Razzi Arpia Inferno e Fiamme” dei Verdena, trovarsi di fronte la Brandenburger Tor e sentire l’eco di Stay (Faraway, So Close!), ascoltare il respiro vicinissimo di un busker che sulla metro di NYC canta All Of Me di John Legend, un bacio clandestino e Senza Fine di Gino Paoli, prendere decine di controsensi in bicicletta per scoprire che hai capito bene, la tua amica non soffriva di acidità, aspettava una bambina.  

Ogni volta che inciampo su qualcosa di inconfondibilmente appartenente a Ennio Morricone, scelgo di riprovare una e una sola tra le poche esperienze mistiche che abbiano avuto un impatto deflagrante nella mia vita. Quando vai ai concerti da tanti anni, riconosci benissimo quel secondo prima che inizi tutto: la musica si alza, i LED si abbassano e anche se fuori è ancora luce, avverti l’aria muoversi per la forza di un boato che non si dimentica più.  Il 3 luglio del 2016, al mio primo di live di Bruce Springsteen, coperta dalla gente e dai cartoncini azzurri della coreografia dedicata a The River, riconobbi l’incipit di C’era una volta il West, tema principale strumentale per orchestra e voce del soprano Edda dell’Orso, dotata di una personalità  talmente forte da riuscire a pareggiare la forza dello stesso tema. Nonostante ogni artista scelga con cura il tema a cui affidare i primi istanti caotici intercorrenti tra lui stesso e il suo pubblico, quei minuti per lo spettatore sono un tempo infinito e surreale, in cui non sempre si è in grado di capire o godere appieno di quella stessa scelta musicale. Bruce Springsteen lascia a Ennio Morricone il compito di aprire i suoi live da un tempo indefinito e il pubblico, nonostante sia preparato, resta attonito. Non perde neanche un secondo di quella manciata di note tra il clavicembalo e la voce di Edda dell’Orso, anzi, le vive come se si osservasse dall’esterno, come se il maestro dalle 500 colonne sonore ne avesse composte 501 e quella fosse del pubblico e sua soltanto. 

Ennio Morricone è stato in grado di raggiungere risultati coerenti con il suo genio creativo, un premio Oscar, Grammy Awards, Golden Globes, British Academy Television Awards, David di Donatello, Nastri d’Argento, European Film Awards, Leone d’Oro, Polar Music Prize. Le colonne sonore cinematografiche sono un concetto assimilabile al suo nome, se ne contano almeno cinquecento. Ma non solo. Come affermato da lui stesso, nella prefazione al libro di Leonardo Colombati “Bruce Springsteen: Come un killer sotto il sole”, Morricone comprendeva appieno l’importanza della musica popolare definendola come “una ricchissima fonte di emozioni che ha accompagnato diverse generazioni dall’adolescenza alla maturità, in grado di raccontare — spesso meglio di altre arti — la condizione dell’uomo nella società contemporanea. Negli Stati Uniti, la musica popolare è considerata parte integrante di una sola tradizione nella quale coabitano in perfetta armonia Hermann Melville e Walt Whitman, Robert Johnson e Louis Armstrong, John Ford e Bruce Springsteen.”

La musica come narrazione, la narrazione come erotizzazione dell’esperienza umana, l’identità sonora di ognuno di noi come un DNA dal potere salvifico, da difendere come fosse un bene protetto dall’UNESCO: “patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione,  costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.” 

Per questo, il lascito di Ennio Morricone è un patrimonio immateriale dal valore indeterminato e indeterminabile. 

Che dire, se non grazie.

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