L’Europa supera i suoi tabù esistenziali. Nessuno lo avrebbe mai predetto, invece è andata proprio così. Il primo: un’ingente emissione di debito comune per trasferire sussidi agli Stati Membri. Conquista che, fino alla proposta franco-tedesca di metà maggio, era bollata come irrealistica, impraticabile. Invece, è bastato il primato della politica per una svolta storica.
E la politica è fatta anche di compromessi che, per natura, non sono mai perfetti. A maggior ragione se a decidere è il Consiglio europeo, dove l’unanimità si dimostra ancora una volta un veleno per l’integrazione UE. Un rischio, il veto, non del tutto eliminato. Infatti, sebbene la decisione sui piani nazionali di riforma sarà presa dal Consiglio a maggioranza qualificata, esiste la possibilità che un paese blocchi temporaneamente l’esborso delle risorse.
Non va sottovalutata la vocazione intergovernativa che emerge da questa vicenda, che conferma una tendenza accentuatasi negli ultimi anni: la marginalizzazione della Commissione, confinata a un ruolo tecnico e di relativa subalternità verso il Consiglio. Non a caso, l’accordo è stato possibile sacrificando quasi esclusivamente il potenziamento dei programmi di spesa diretta dell’UE. Così, si è chiusa anche un’altra spinosa questione del post-Brexit, cioè come colmare, nel budget, le mancate entrate del Regno Unito; non attraverso risorse aggiuntive, ma tagliando.
Vuoto, quello britannico, politicamente occupato dagli olandesi, nuovi bastian contrari dell’integrazione. Un ostruzionismo tale da regalare al premier ungherese Orbàn l’occasione di mostrarsi, nei confronti dell’Italia, più solidale dei nordici. Tattica, naturalmente. Non possiamo, infatti, non essere amareggiati dal cedimento sullo Stato di Diritto, altro bene comune europeo sacrificato nel compromesso.
I valori non sono secondari; sono determinanti per il futuro dell’UE. Se si arretra, come avvenuto per i migranti, si perde l’identità più profonda del progetto europeo. È evidente che nel trade off tra valori e ripresa si è data priorità alla seconda, senza la quale sarebbe più complicato dare risposte concrete ai cittadini, mettendo a repentaglio la tenuta della democrazia. Sull’aspetto valoriale resta comunque urgente trovare un nuovo approccio e promuovere una coscienza europea e un senso di appartenenza, combinando la dimensione utilitaristica con quella identitaria.
La svolta decisiva, infine, è anche per l’Italia, tra i vincitori della partita. I 209 miliardi di Next Generation EU ci trasformano, per i prossimi sette anni, in beneficiari netti del bilancio UE. Al tempo stesso, ora inizia un cammino in cui dovremo, come Paese, saper rispondere alla solidarietà europea con una dimostrazione di responsabilità. C’è un nuovo vincolo, solo virtuoso e per nulla coercitivo verso i cittadini, che obbliga la nostra classe dirigente a una prova di maturità senza precedenti. Nessuna Troika in vista. Solo un investimento verso il nostro essere, finalmente, un Paese adulto.