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Ricostruzione del ponte di Genova: eclatante fallimento dell’Italia

Non amo la retorica, chi mi conosce lo sa, e insieme alla retorica non amo le bugie. La ricostruzione del ponte san Giorgio a Genova non è un favoloso successo, come è stato da tutti descritto, ma un eclatante fallimento dell’Italia.

Abbiamo dimostrato che abbiamo elevate capacità tecniche e ingegneristiche? Lo sapevamo, come le hanno buona parte dei più grandi paesi industrializzati. In molti di questi ci sono aziende e tecnici italiani? Si, come ci sono tecnici e aziende tedesche, francesi, giapponesi, americane. Abbiamo dimostrato che sappiamo ricostruire in meno di 24 mesi un ponte crollato per vecchiaia e, pare, carenza di manutenzione? Succede, abitualmente, in tutto il pianeta. Chi viaggia, chi osserva, chi conosce o anche solo si informa, pure la casalinga di Voghera guardando Geo, sa che in tutto il mondo vengono progettate e costruite, spesso in anticipo rispetto ai tempi (già brevi) previsti nei progetti, infrastrutture tecnologicamente avanzatissime, utili per le aziende e i cittadini, che costituiscono di frequente motivo di orgoglio per le nazioni oltre che – capita anche questo – attrazioni turistiche. L’unica nazione tra le cosiddette grandi che non riesce a fare tutto questo in modo regolare è l’Italia. Un po’ deroga Milano, che negli ultimi decenni è riuscita coraggiosamente a modificare il suo Skyline.

Alle incancrenite difficoltà del sistema Italia, si sono aggiunti negli ultimi anni i profeti della decrescita felice. Il M5S, contrario a tutto tranne che ai governi, da realizzare indifferentemente con la destra o con la sinistra. La dura verità è che l’Italia da decenni non sa progettare, non sa pensare in grande, non sa realizzare, è incapace di guardare al futuro. Lo sanno fare gli italiani, lo saprebbero fare anche in Italia, ma si limitano a farlo all’estero. E chissà per quanto tempo ancora. Qui a impedirglielo, oltre alla mancanza di una classe dirigente (politica e sociale) con qualche idea di sviluppo e crescita competitiva (non assistenziale) del Paese, non è possibile farlo per la burocrazia inadeguata o spaventata, per la magistratura arrogante e spesso partigiana, per la legislatura arcaica e farraginosa, per il malaffare. Tempi infiniti, ricorsi certi, magistrati protagonisti, leggi complesse e scritte male, malavita famelica, politica impreparata. Questa è l’Italia degli ultimi 30 anni almeno.

Se il ponte Morandi non fosse caduto e il progetto fosse stato semplicemente quello di costruire un secondo ponte a Genova, come il terzo sul Bosforo, dopo due anni staremmo ancora a parlare dell’idea, della presunta utilità di questo ponte, in una regione che ha fame di infrastrutture come e peggio della Calabria. Saremmo ancora a dar retta a quattro improbabili rappresentanti di qualche violento e confuso comitato del no, per la difesa dell’orto della sciura Roberta. Con i profeti della decrescita felice pronti a dar loro forza e rappresentanza nelle aule parlamentari e nei ministeri. Una sciagura dalla quale non sappiamo davvero come e quando ne usciremo. Sicuramente non accadrà con il governo che non chiede l’utilizzo del MES per principio: nuovo MES, un’altra cosa MES, SEM, zio SEM, chiamatelo ZIMBATÒ, ma finitela con questa insopportabile sceneggiata mortificante e dannosa per l’Italia. E lo rammentiamo in modo particolare al Partito Democratico.

A Genova, con la costruzione del ponte San Giorgio in 23 mesi, ha perso l’Italia. Perché a Genova, un commissario straordinario, sull’onda dell’emozione, con poteri straordinari, ha scelto chi era autorizzato a progettare, chi poteva costruire, da chi rifornirsi, in barba alle leggi e ai regolamenti più pazzi del mondo che rendono l’Italia un paese che non attrae idee, capitali e cervelli. La stessa cosa è successa a Venezia col Mose, dopo anni e soldi sprecati, corruzione a go go, tecnologie intanto invecchiate e quasi superate: solo grazie o a causa dell’arrivo di un commissario straordinario, seguito a una delle peggiori mareggiate della storia, si arriverà forse ad averlo pronto il prossimo inverno. Non so cosa deve succedere per procedere alla realizzazione dell’alta velocità VERA, il completamento del progetto prioritario 1 Berlino-Verona/Milano-Bologna-Napoli-Messina-Palermo, compreso il ponte sullo Stretto. A Genova l’Italia ha straperso, perché se il Governo avesse seguito le procedure che NOI italiani abbiamo deciso di scrivere, votare e imporci, di presidenti della Repubblica ne sarebbero passati altri 4 prima di andare a inaugurare qualcosa di nuovo.

Serve un risorgimento civico. Non sembrano capaci di poterlo realizzare i 5S ovviamente (gli stessi che fino a pochi mesi fa solidarizzavano con i gilet gialli che mettevano a fuoco Parigi e chiedevano lo stato di accusa per quel sant’uomo di Mattarella); non sembra pronto il PD a guida Bettini, che sta cercando di ricostruire il vecchio PCI/PDS; non ci può riuscire Salvini, e su questo non perdo tempo a trovare evidenze da proporre. Serve un risorgimento civico, qualcosa di simile alla marcia dei quarantamila del 1980. Serve una classe dirigente competente, capace e vogliosa di assumersi la responsabilità di portare l’Italia a progettare, pensare, innovare, costruire, crescere. Nel suo piccolissimo è il motivo per cui è nato questo giornale, in piena pandemia.

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