Facciamo così, per solidarietà nazionale: la decisione di chiudere le discoteche e l’obbligo di mascherina dalle 18 alle 6, “nei locali aperti al pubblico e nei luoghi in cui è più facile che si creino assembramenti”, le consideriamo la “decisione zero” del Governo per fronteggiare l’aumento dei casi di Covid-19 anche in Italia.
Al contrario della grottesca scelta pentastellata di superare il principio fondante dei due mandati introducendo il “mandato zero”, al Governo concediamo il beneficio della buona fede, nonostante le decisioni siano state assunte con modalità e tempi tali da evidenziare più di una perplessità.
Già il 17 aprile il prof. Walter Ricciardi, consigliere del ministro Speranza, aveva previsto la possibilità di una seconda ondata prima dell’autunno: “fino a quando non avremo un vaccino – dichiarò al nostro giornale – ci saranno nuove ondate o, speriamo, tanti piccoli focolai epidemici che andranno contenuti. Quello autunnale e invernale, come nel caso dell’influenza, è il periodo in cui una combinazione di eventi climatici, comportamentali, immunologici fa si che il virus possa riemergere. Per questo è molto importante non accelerare le riaperture: in caso contrario la seconda ondata invece di averla più avanti rischiamo di subirla prima dell’estate”.
Solo lo scorso mercoledì, il prof. Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas e tra i più influenti scienziati al mondo, dichiarava a ilcaffeonline: “Non c’è alcuna evidenza, che sia stata messa a disposizione della comunità scientifica attraverso le riviste scientifiche o in open access, che il virus stia diventando più gentile. Tutti vorremmo questo, io per primo: purtroppo non è successo”. E aggiungeva: “Il mio invito alle persone giovani è di comportarsi in modo responsabile a protezione dei più deboli. Sono atteggiamenti di responsabilità nei confronti degli altri. Si può andare in montagna o a divertirsi anche in modo responsabile”.
Nessuna sorpresa quindi, gli studiosi più seri avevano previsto tutto, nei modi e nei tempi: già in estate era da prevedersi la diffusione di focolai. L’allarme, ancora una volta, era stato lanciato dai tecnici: toccava al governo decidere cosa aprire e cosa chiudere. Il messaggio che è passato invece è stato quello del pericolo scampato. È stata diffusa l’idea di un ritorno alla normalità che invece non può tornare sino a quando non avremo a disposizione il vaccino. Addirittura più tipi di vaccino, ha spiegato Alberto Mantovani.
Una preziosa ricerca condotta dai professori Carlo Federico Perno e Fausto Baldanti (citata da Mantovani nell’intervista) ha accertato che in Lombardia si sono diffusi due focolai già a partire dal 20 gennaio almeno. La parziale pubblicazione dei verbali del Comitato tecnico scientifico, grazie alla Fondazione Luigi Einaudi che li ha chiesti e ottenuti dal Governo dopo una sentenza favorevole da parte del TAR, ha consentito di verificare che tra il 3 e il 7 marzo il governo ha ritardato in modo inspiegabile l’istituzione delle zone rosse in Lombardia, favorendo la diffusione del Covid-19. Insomma, lo studio del virus e dei documenti ci consente di dire che si poteva fare di più e meglio, già mentre si affrontava la prima ondata pandemica. Al presidente del Consiglio, ai ministri, ai presidenti di regione sono state però concesse le attenuanti generiche, considerato che l’Italia è stato il primo paese occidentale ad affrontare la peggiore crisi sanitaria degli ultimi cento anni.
Noi siamo del parere che è stata corretta anche la diffusione dei fondi a pioggia, perché bisognava dare un segnale di presenza rapido e concreto, anche se insufficiente. Il fatto che alcuni parlamentari, imprenditori o professionisti abbiano approfittato di qualche strumento non è una responsabilità che può essere addebitata all’esecutivo, che poteva scrivere meglio le norme ma che si è trovato ad affrontare una urgenza certamente più grande delle capacità, singole e collettive, di questo esecutivo. Fortunatamente la presenza discreta ma tangibile di quel gigante che è il presidente Mattarella ha consentito che il senso di protagonismo di alcuni non provocasse danni maggiori di quelli realizzati.
Nel momento in cui scriviamo un’agenzia Ansa rilancia: “Caos sui tamponi negli aeroporti al rientro: nessun controllo a Milano, Bergamo e Napoli. Lunghe code a Roma”. L’impressione è che il Paese stia andando a sbattere per la seconda volta in sei mesi. Procediamo in modo disordinato e caotico. La decisione di chiudere le discoteche è avvenuta un giorno dopo il ferragosto. Tanto basta per dare anche solo l’impressione che, come a febbraio, sia stato ritardato un intervento necessario e urgente per timore o indecisione. Per non parlare dell’obbligo di portare la mascherina all’aperto solo dalle 18 alle 6 del mattino e solo nei luoghi in cui è più facile che si creino assembramenti. Quali sono questi luoghi? Assomiglia tanto ai provvedimenti del passato inverno: col cane si e col bambino forse, camminare ma non correre, per non dimenticare il capolavoro dei congiunti e degli affini.
Sappiamo, per esperienza acquisita, che in questi giorni stiamo contando i contagi di due settimane fa: tra 15 giorni calcoleremo gli effetti dei comportamenti sbagliati di questo sbrindellato agosto, delle decisioni inadeguate, degli ennesimi colpevoli ritardi.
Insomma, ci risiamo. Serve una strategia nazionale, anche perché oggi più che a febbraio la diffusione del virus è nazionale, a causa del movimento per le vacanze su tutto il territorio italiano e dei rientri da paesi al momento più colpiti del nostro. Se a febbraio era forse anche corretto ipotizzare chiusure differenziate, oggi sicuramente le decisioni devono coinvolgere tutte le regioni allo stesso modo e negli stessi tempi. Non è un’esercitazione. Non possiamo più permetterci decisioni zero, come quelle su discoteche e mascherine da movida. Da oggi si fa sul serio. E questa volta non ci sono attenuanti, ma aggravanti.