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La scelta che hanno di fronte gli americani: trumpismo o obamanismo?

Costretta dal coronavirus, la prima serata della Convention democratica del 2020 ha abbandonato ogni legame con le Convention (spesso drammatiche) di un tempo e con l’identica parata di interventi rivolti, in arene cavernose, a delegati distratti e indifferenti, ed è diventata completamente «infomercial».

L’attrice Eva Longoria ha fatto da cerimoniere virtuale da uno studio televisivo di Los Angeles, dando la sensazione di una cosa a metà strada tra raccolta di fondi di Telethon e una premiazione televisiva. Il che ha permesso di sostituire la consueta processione di dirigenti e semplici militanti di partito che popola abitualmente la prima serata di una tipica Convention con la voce della «gente normale». Si è trattato, insomma, di uno show televisivo (un mix di video dal vivo e di interventi registrati in precedenza in cui alcune cose hanno funzionato, altre meno), nel corso del quale i democratici hanno messo in rilievo alcuni problemi spinosi. C’erano, ad esempio, i familiari di George Floyd e Eric Garner, i due afroamericani uccisi dalla polizia e la Convention non ha lasciato dubbi su chi sia il responsabile del diffondersi della pandemia che ha ucciso più di 170.000 americani. Trump è stato fustigato per aver ignorato la minaccia e improvvisato la risposta al virus e per aver, nel frattempo, diviso la nazione. L’intervento più sferzante è stato quello di Kristin Urquiza, il cui padre, Mark Anthony, ha creduto alle assicurazioni di Trump che la pandemia fosse sotto controllo ed è andato al bar un paio di settimane prima che il coronavirus lo uccidesse.

Tuttavia, fin dal primo giorno, la Convenzione nazionale democratica ha messo in chiaro, come ha scritto l’inviato della CNN Stephen Collinson, la scelta che hanno di fronte gli americani. Il 3 novembre dovranno scegliere tra trumpismo e obamanismo. Ecco perché Michelle Obama, una delle figure politiche più popolari degli Stati Uniti, è stata l’oratore principale della prima serata della Convention virtuale di lunedì. L’ex first lady ha una influenza enorme sull’elettorato femminile e specialmente sulle donne afroamericane, di cui i democratici hanno disperato bisogno per battere Trump. Ma soprattutto, Obama ha scongiurato gli americani di continuare a credere che perseguire la giustizia, l’uguaglianza, il decoro e il cambiamento attraverso un processo politico fondato sulla ragione possa funzionare ancora, anche contro un rivale disposto a distruggere quel sistema pur di mantenere il potere.

Quattro anni fa, nella Convention del 2016, disse agli americani: «Quando gli altri volano basso, noi voliamo alto». Sembrerebbe l’idealismo di un’era svanita, ma Obama oggi sta rilanciando la scommessa proprio su quell’idea. «Volare alto è l’unica cosa che funziona, perché quando voliamo basso, quando usiamo le stesse tecniche per degradare e disumanizzare gli altri, diventiamo solo parte di quell’orribile schiamazzo che sta assordando ogni altra cosa», ha detto.

Sebbene il partito si sia spostato a sinistra da quando il 44º presidente ha lasciato l’incarico, la campagna presidenziale dei democratici di quest’anno sembra una restaurazione dell’era Obama. Joe Biden parla sempre del suo amico «Barack», e la scelta di Kamala Harris come candidata alla vicepresidenza (la prima donna nera, la prima donna asiatica, la prima laureata in una università storicamente nera) rappresenta il tentativo di rimettere insieme la «coalizione Obama», fatta di giovani, minoranze e moderati della classe media. Posto che, appunto, la politica degli ultimi dodici anni si è sviluppata come una lotta tra quel raggruppamento e il gruppo rivale sostenuto da una forte reazione bianca, rurale e populista.

Nei giorni scorsi, Trump ha ricordato ai democratici cosa gli attende, ritwittando la propaganda dell’intelligence russa, diffondendo demagogia razzista e ammonendo che riterrà «truccato» ogni risultato elettorale che lo veda sconfitto. L’altra sera Michelle Obama ha risposto: «Se vogliamo mantenere viva in questo momento la possibilità di un progresso, se vogliamo poter guardare i nostri figli negli occhi dopo questa elezione, dobbiamo riaffermare il nostro posto nella storia americana».

Per battere Trump, i democratici hanno bisogno di un partito unito e di un’ondata giovane ed eterogenea di elettori. Perciò quello di ieri è stato un festival di facce brune, nere e bianche, con le donne che hanno assunto un ruolo dominante. Perfino l’eroe della sinistra, il senatore del Vermont Bernie Sanders, per una volta si è allineato con l’establishment del partito, sollecitando i propri supporter di unirsi dietro a Biden (cosa che non ha mai fatto nel 2016 per Hillary Clinton), come hanno fatto, in un altro video, tutti gli avversari di Biden alle primarie. Inoltre, a dar man forte a Biden, sono spuntati anche alcuni Repubblicani, come l’ex governatore dell’Ohio John Kasich, che ha deciso di voltare le spalle al presidente Trump perché, «ha tradito tutti i valori conservatori».

Insomma, in circostanze molto difficili i democratici hanno confezionato un prodotto che può aver aiutato qualche elettore ancora incerto su Trump a prendere una decisione. Sempre che questa gente esista davvero.

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