La decisone di chiudere le discoteche è stata l’ultima assunta dal governo per limitare la diffusione di una nuova ondata pandemica. Secondo lei era inevitabile o si poteva aspettare ancora?
Era stata già prevista una riduzione degli ingressi e altre regole che a dire il vero non era semplice far rispettare all’interno di una discoteca, come ballare a distanza. C’erano già quindi disposizioni molto rigide. In molte aree però la situazione era fuori controllo da settimane e dubito che i controlli avrebbero potuto esser fatti così a tappeto da poter impedire eventuali contagi all’interno delle discoteche. Probabilmente non sarebbe cambiato molto in termini di contagi, questa è la mia personale opinione. Secondo il principio della massima precauzione comunque è sempre meglio agire in anticipo.
Come ci si difende dal Covid-19?
Dobbiamo abituarci a convivere con il virus che circola tra noi e possiamo difenderci solamente rispettando alcune semplici regole: le principali sono l’uso della mascherina e il distanziamento fisico. È chiaro che laddove queste regole non possono essere seguite, bisogna agire. Vedremo nelle prossime settimane se ci sarà un aumento dei contagi legato agli assembramenti che abbiamo registrato in estate. Io francamente ne dubito, credo che il virus rialzi la testa indipendentemente dalle discoteche. Alcune settimane fa, con la vittoria del Napoli, erano tutti quanti in piazza e tutti erano preoccupati che da lì sarebbero ripartiti i contagi: in realtà non è accaduto.
Sembrano numerosi invece i cosiddetti “casi di rientro”.
Si, credo anch’io che siano molto più importanti i casi di rientro. Sono più i giovani quelli che viaggiano ma non deve essere stigmatizzato il giovane come untore. Intensificherei di più i controlli negli aeroporti, soprattutto da quegli stati nei quali l’andamento settimanale è in crescita. Più delle discoteche, francamente.
Era abbastanza prevedibile. Nei giorni c’è stata molta confusione e poco coordinamento. Perché non è stato creato un sistema nazionale di controllo?
Il sistema esiste ed è chiaro che doveva essere approntato forse in maniera diversa, ma ciò che vive l’Italia lo vivono anche gli altri paesi. Per quanto riguarda i viaggi, credo che serva un sistema europeo di controllo, o meglio una strategia comune con dei tamponi e dei test fatti nei maggiori scali europei, valutando l’area Schengen da quella non-Schengen. Arrivano casi dalla Francia, dalla Spagna, dalla Grecia: non possiamo impedire il movimento delle persone, però possiamo far sì che con una strategia comune i casi positivi vengano bloccati in partenza. La stessa cosa vale per gli italiani in partenza dall’Italia. Solo così possiamo mettere in sicurezza i viaggiatori e ovviamente le singole nazioni.
Non saremo sicuri sino a che non verrà individuato e prodotto il vaccino?
Contento che molti stanno correndo alla ricerca di un vaccino e felicissimo che alcuni abbiano già raggiunto il primo obiettivo, però è chiaro che serviranno alcuni mesi per essere certi che questi faccini siano efficaci. Poi bisogna produrli su larga scala e far sì che la popolazione decida di farsi il vaccino laddove non è reso obbligatorio. Secondo me arriveremo alla metà del prossimo anno. Questo vuol dire che per i prossimi otto-nove mesi dovremo convivere con il virus, e convivere con il virus significa anche fare strategie comuni.
La disposizione per cui dalle 18 alle 6 del mattino vige l’obbligo di portare la mascherina anche all’aperto, dove è possibile che si crino assembramenti, ha creato molte polemiche. Ci vuole spiegare questa decisione?
La decisione è chiaramente nata da un confronto. D’estate si esce più tardi, la movida e gli assembramenti sono più frequenti in un determinato orario. È chiaro che quando senti dire “il virus non esiste”, un po’ di preoccupazione nasce. È stata fatta la scelta di quegli orari anche per dare un segnale. La mia personale opinione è che il virus non ha l’orologio al polso e quindi circola sempre: è chiaro che l’obbligo della mascherina deve valere anche in caso di un aperitivo prima di pranzo in cui si crea. Quella regola secondo me deve valere H24. La mascherina è un accessorio ormai indispensabile, è come andare in giro con gli occhiali: li usi quando ne hai bisogno per leggere o per guidare. Con la mascherina è uguale. Quegli orari sono stati messi perché sono quelli della movida, però, ripeto, lo stesso rischio si presenta per chi fa la fila fuori dalle poste o al supermercato, oppure anche se si prende un aperitivo prima di pranzo con un gruppo di persone.
Ci possiamo aspettare questa volta che il governo emetta delle disposizioni di buon senso? Durante il lockdown le FAQ erano spesso contraddittorie e difficili da seguire.
Ha pienamente ragione, le regole per essere seguite devono essere semplici. All’inizio di questa pandemia, si diceva tutto e spesso anche il contrario di tutto, anche sul virus: quanto resisteva, come viaggiava, quanta era l’incubazione. Le raccomandazioni sono: distanza di sicurezza, utilizzo della mascherina e lavaggio delle mani. Io ne aggiungo sempre una quarta che spero mi aiutiate a diffondere tra la popolazione: chi avverte dei sintomi deve avvertire il medico di medicina generale. Molte persone, prima del Covid, andavano a lavorare anche con 38 di febbre, magari dopo aver preso una tachipirina. Oggi questo non può farlo nessuno: bisogna sempre avvertire il proprio medico. Quindi le regole le abbiamo, quello che serve è che ognuno di noi faccia il suo. Io vorrei vedere per esempio il gestore di un bar – come mi capita spessissimo – che obblighi ogni persona che entra nel suo locale a indossare la mascherina. Questo significa anche educarci, non educare ma educarci, ognuno di noi deve acquisire questo modus vivendi quotidiano. Torneremo alla normalità quando questo virus verrà debellato.
La riapertura delle scuole è una delle priorità dell’Italia. I presidi chiedono regole chiare: come comportarsi ad esempio se un bambino viene trovato positivo?
Il comitato tecnico-scientifico si esprimerà a breve. Linee guida che ovviamente saranno iniziali e potranno variare in corso d’opera, perché nessuno di noi sa che cosa accadrà tra settembre, ottobre e novembre. Dovranno anche tenere in considerazione la concomitanza di altri virus che circolano nei mesi autunnali e invernali: non esiste solamente il covid. Io sono più preoccupato degli altri tipi di virus, che potranno creare panico a causa di sintomi similari a quelli del covid, col rischio di determinare la chiusura o un numero cospicuo di tamponi laddove covid non vi è.
Sulla responsabilità penale dei presidi cosa ci può dire?
Per quanto riguarda questo scudo penale (c’è chi lo chiama difesa), è chiaro che in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo bisogna creare degli sgravi per gli operatori o per chi ha la responsabilità di coordinare altre persone. Faccio un esempio per tutti. Ora si parla di presidi o di personale a scuola, ma lo stesso vale per i medici, per gli infermieri, per gli operatori sanitari. Ci troviamo in una guerra, abbiamo vinto tantissime battaglie, purtroppo alcune le abbiamo perse, con 35mila morti non possiamo dire di aver vinto tutte le battaglie, però la guerra ancora è lunga, dobbiamo controllare i focolai, questa è una delle future battaglie. Quindi, laddove in una scuola vi sarà un focolaio bisognerà ovviamente procedere alla chiusura, tampone rapido, test molecolare pronto per tutti, quarantena laddove è necessario, per proteggere i nostri figli, i professori e tutti coloro che lavorano nella scuola. La scuola deve ripartire, ma in sicurezza.
Cosa si può fare per ripartire in sicurezza?
Secondo me servono due cose: una è il medico scolastico. Ricordo che quando ero a scuola c’era il boom dell’HIV. Ero ai primi anni del liceo e avevamo il medico che veniva a insegnarci come difenderci dalla malattia. Il medico scolastico è un presidio fondamentale per il futuro della nostra scuola, indipendentemente dal covid. Un’altra cosa da prevedere è l’educazione sanitaria a scuola, che è una forma di insegnamento che consentirà ai nostri giovani come migliorare alcuni comportamenti, dall’alimentazione al semplice lavaggio delle mani, la profilassi, la semplice difesa dalle comuni malattie come l’obesità, l’esercizio fisico, la trasmissione delle malattie sessualmente contagiate, l’educazione all’affettività. Tutto ciò che riguarda la sanità deve entrare nella scuola.
Con ogni probabilità i nuovi focolai pandemici interesseranno tutta Italia, mentre la prima ondata aveva coinvolto prevalentemente alcune regioni del Nord. Il sistema sanitario è pronto ad affrontare focolai in tutto il territorio nazionale?
Sicuramente è più pronto di prima, ma ovviamente dipende dalle dimensioni dei focolai e dal senso di responsabilità dei cittadini. Ci troviamo in una situazione diversa rispetto a febbraio e marzo, perché i nuovi positivi sono certamente degli inneschi per una eventuale ripresa della pandemia, ma difficilmente troveranno terreno fertile se le persone manterranno le distanze ed indosseranno le mascherine. Permarranno ancora delle differenze su base territoriale, ma sono preesistenti alla pandemia e tuttavia cominciano ad essere colmate. Si pensi alle regioni con piano di rientro a confronto di altre che si trovavano in condizioni economiche adeguate. Eppure abbiamo visto che nemmeno questo è decisivo: basta guardare la Lombardia, dove l’arrivo prepotente del virus ha comunque messo in ginocchio il sistema. In sintesi, siamo molto più pronti di prima, anche perché si conosce molto meglio la malattia, esistono terapie che hanno mostrato una qualche efficacia e c’è disponibilità di posti letto. Abbiamo raddoppiato i posti di terapia intensiva e moltiplicato per un fattore sei o otto quelli di altri reparti come medicina interna, neurologia e malattie infettive. È un bagaglio culturale, tecnico-scientifico e logistico che abbiamo appreso sul campo e che adesso manteniamo. Qualche miglioramento può ancora essere fatto sul territorio, specie con riferimento ai tamponi, che devono essere fatti in maggior numero ma anche meglio, nel senso che la ricostruzione dei contatti dei contagiati e il loro isolamento è un’operazione assai difficile a meno di sfruttare Immuni, che è in grado di svolgere queste attività in pochi secondi.
Perché Immuni è stata scaricata soltanto da quattro milioni di persone? È stata una questione di comunicazione, di timore per la violazione della privacy?
Sicuramente la comunicazione poteva essere fatta meglio e vi è stato tantissimo pregiudizio in merito alla privacy. Quando si dà un’informazione inesatta, come quella che Immuni avrebbe potuto violare la privacy, si producono degli anticorpi che conducono al rigetto di questa opportunità. Ora siamo probabilmente a cinque milioni, ma su un totale di ottanta milioni di dispositivi che abbiamo in Italia, è un numero sicuramente basso, ancorché utile. Io non mi stancherò mai di fare appelli e di ripetere che l’applicazione è sicura, che la privacy è rispettata, che non c’è nessuna possibilità di sapere chi è la persona positiva. L’utilizzo, al contrario, favorirebbe moltissimo il controllo dei focolai. Quindi sì, non è stata ben pubblicizzata all’inizio e poi ci sono stati dei furbi che hanno affermato che la privacy non sarebbe stata rispettata.
Il Mes mette a disposizione trentasette miliardi che potrebbero essere molto utili per la nostra sanità. Se è vero, come sembra, che non ci saranno le vecchie condizionalità, lei pensa che il Governo dovrebbe chiederlo?
Al momento si dice che non ci saranno condizionalità, ma c’è un trattato dietro, e le condizionalità ancora ci sono e sono molto pericolose per l’Italia. Ipotizziamo di chiedere questi miliardi e poi ritrovarci improvvisamente, a due o tre anni da oggi, con l’Europa che chiede dei tagli per rientrare, magari proprio sulla sanità dove questi soldi sono stati impiegati. Il rischio è di prendere trentasette miliardi oggi e poi essere costretti a fare dei tagli per vincoli già conosciuti. Per abolire completamente questi vincoli bisogna riscrivere il trattato. Al momento ci sono e, checché se ne dica, scripta manent e verba volant. Il rischio di ritrovarsi in futuro con un cappio al collo c’è. In questo momento vedo molto meglio tutti i progetti per utilizzare i soldi che il presidente Conte è riuscito a far arrivare all’Italia lo scorso mese.
La Fondazione Einaudi ha chiesto al Governo di poter avere i verbali della Commissione tecnico scientifica. In un primo tempo negati, sono stati concessi dopo una sentenza del TAR. Perché questa resistenza iniziale? E perché non sono stati ancora pubblicati tutti i verbali?
Questa è una domanda che deve rivolgere alla Protezione civile e al CTS. Anche io ho avuto problemi con i verbali, e tuttora non ho i primi diciotto. Leggendo quelli a mia disposizione posso dire che i verbali si concludono con gli atti che poi sono stati assunti in questi mesi dal Governo. Si tratta quindi di protocolli e discussioni che hanno poi condotto a quanto è sotto gli occhi di tutti.