La storia delle riforme costituzionali in Italia è la storia di una lunga serie di fallimenti. Tra qualche giorno potremo decidere sulla legge che riduce di oltre un terzo i parlamentari. Quali sono le sue impressioni sul dibattito che si è sviluppato?
In effetti il dibattito è stato intenzionalmente tenuto di tono basso sino a pochi giorni fa. Non essendoci il quorum, la speranza dei proponenti era quella di un cammino elettorale il più felpato possibile: pochi elettori, poche spiegazioni e discussioni, e tutto passa.
La riduzione dei parlamentari, non accompagnata da altre modifiche, che impatto avrà sugli equilibri disegnati dalla Carta costituzionale e sul funzionamento delle Camere?
Obiettivamente scarso. Se possibile, poiché il bicameralismo diventerà ancora più paritario ora che si omogeneizzano anche gli elettorati delle due camere, l’efficienza del lavoro parlamentare diminuirà ulteriormente. Se lo stesso lavoro legislativo dopo essere stato fatto da una camera di 400 membri passerà a quella di 200, composta nello stesso modo della prima, questa impiegherà prevedibilmente il doppio tempo.
Il referendum confermativo sulle leggi di revisione costituzionale è l’unico valido a prescindere dal quorum dei votanti. Come giudica la scelta di accorparlo con le elezioni amministrative?
Non opportuno per la sovrapposizione di due campagne elettorali molto diverse, ma comprensibilmente quasi inevitabile.
Come influirà la riforma sulla composizione dell’Assemblea dei grandi elettori del Presidente della Repubblica?
In parte dipenderà anche dall’esito delle contestuali elezioni regionali. Se si verificasse ciò che auspica Salvini, cioè un 7 a 0 a favore della destra, ma io lo escludo, gli equilibri si modificherebbero in modo decisivo. In ogni caso l’equilibrio parlamento/consigli regionali verrà alterato in una direzione non prevista e non voluta dal costituente.
È corretto subordinare la riforma della Costituzione alla modifica di una legge ordinaria come quella elettorale?
No, non lo è, trattandosi di ranghi legislativi diversi anche se correlati. Ma si rende necessario per attenuare l’impatto negativo di alterazione della rappresentanza con la riduzione del numero dei parlamentari: se oggi il nostro rapporto è tra i più alti d’Europa, con l’approvazione di questa sedicente riforma diventerà il più alto in assoluto: 1 deputato ogni 150.000 abitanti, 1 senatore ogni 300.000. Le minoranze politiche e territoriali verranno fortemente penalizzate, cioè non garantite. In ciò consiste il grosso sfregio del principio della rappresentanza voluto dal costituente. Anche se il tema della rappresentanza evoca anche altri dati di cui le forze politiche negli ultimi decenni non hanno voluto tenere conto.
Gli argomenti principali di chi sostiene il Sì sono sempre stati il risparmio di spesa pubblica e la lotta alla casta. Valgono una riforma costituzionale?
Il risparmio, come Cottarelli ha dimostrato, sarà esiguo e non vale il costo democratico. La lotta alla casta è esattamente ciò che viene perseguito, in modo paradossale e masochistico, dalle forze politiche che non si accorgono di esserne loro stesse il bersaglio.
C’è poi chi ha detto che voterà Sì perché così si dovrà necessariamente mettere mano ad altre riforme. Cosa ne pensa?
Penso che sia un atto di fede, non supportato da alcun argomento. Anzi si potrebbe/dovrebbe sostenere il contrario.
Il bicameralismo perfetto voluto dai costituenti sembra aver fatto il suo tempo, ma il potere legislativo risiede ancora nelle Camere? La riduzione dei parlamentari che impatto avrebbe sui diversi organi coinvolti nella costruzione della legislazione?
Evidentemente no. Il trasferimento di competenze all’Unione Europea e alle Regioni, ha ridotto di molto le competenze legislative del Parlamento nazionale. Ma soprattutto lo ha fatto l’ormai strutturale avocazione di poteri legislativi di cosiddetta urgenza da parte del governo, da molti anni per la verità. Però il Parlamento continua a dimenticarsi dell’altra sua grande prerogativa costituzionale: il sindacato sugli atti del Governo. Dovrebbe essere il Parlamento a controllare il Governo, mentre si sta verificando, ormai senza reazione alcuna, esattamente il contrario: il governo controlla sempre di più il parlamento. Proprio in questi giorni un sottosegretario dei 5S ha dichiarato: un Parlamento ridotto è più facile da controllare. Ormai ci si abitua a tutto, senza mai reagire. Io penso che sia giunto il momento di farlo. Io personalmente mi rifiuto di diventare capote.
Il PD in Parlamento ha votato per tre volte contro la riduzione dei parlamentari, cambiando la propria scelta nell’ultima votazione in funzione dell’accordo di governo attuale e della promessa dell’adozione di correttivi, che però non sono arrivati. Non si rischia così di confondere i propri elettori?
Assolutamente si. Ma soprattutto ha sbagliato quando ha definito l’accordo politico di governo, scelta che io ho condiviso, accettando il taglio dei parlamentari senza pretendere il contestuale avvio di un altro disegno di riforma costituzionale per differenziare ruoli e competenze delle due camere. Oggi non ci troveremmo in questa palude. E senza pretendere l’intesa su una nuova legge elettorale che restituisse agli elettori la prerogativa di scegliere i propri rappresentanti, o con l’introduzione delle preferenze o con la definizione di collegi abbastanza piccoli, sì da poter scegliere veramente. Da dove nasce molta parte della sfiducia popolare? Da questa confisca di potere di scelta dei propri rappresentanti. Perché mai partiti che non sono più tali, essendosi perlopiù ridotti a un leader e i suoi fedelissimi, dovrebbe continuare ad avere il potere di scegliere non già i candidati ma gli eletti in parlamento? Se le forze politiche non si decidono di uscire dal bunker in cui si sono ficcate rischiano di essere travolte.
Tutti i partiti principali sono schierati per il Sì. Se la riforma passa chi festeggia?
Legittimamente il Movimento 5S
E se vincesse il No?
I cittadini