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Arturo Parisi: chi è preoccupato per la Repubblica e per la crescita del populismo non può che votare No. Io voto No

La storia delle riforme costituzionali in Italia ha fatto registrare una lunga serie di fallimenti. Tra qualche giorno potremo decidere sulla legge che riduce di oltre un terzo i parlamentari. Quali sono le sue impressioni sul dibattito che si è sviluppato?
Se il quesito inscritto nella scheda di voto fosse leggibile come “volete voi ridurre il numero dei parlamentari?” se ne potrebbe e dovrebbe discutere. E per quel tanto che si è discusso credendo che il quesito sia questo, dal dibattito ho avuto anche io motivi per riflettere e occasioni per imparare. Ma poiché il quesito al quale dobbiamo dare risposta non riguarda quali riforme noi vorremmo fare ma se confermiamo la proposta, imposta e celebrata dai 5S, non a caso, come “taglio delle poltrone”, consentitemi di ritenere fuori dal tempo ogni dibattito che si illuda di potere entrare nel merito. Non è il caso di perdersi in oziose comparazioni tra i costi e il numero di parlamentari rispetto alla popolazione dei diversi Paesi, suscettibili ognuna di obiezioni e contro obiezioni.

Su cosa saremo chiamati a decidere?
Tutti i referendum sono giudizi su precise iniziative politiche ognuna con una propria premessa politica e un obiettivo anch’esso politico. Ancor di più i referendum confermativi, che chiedono un voto di conferma su decisioni già prese dal Parlamento. Esattamente come quello presente. A meno che qualcuno non si senta di sostenere che la legge sottoposta a conferma è stata l’anno scorso trasfigurata dalla conversione in soli pochi giorni del Pd da tre No ad un Sì, per corrispondere alla prima condizione posta dai 5S al partito perché potesse sostituire nel governo la Lega che ne era di sua volontà da poco uscita, il referendum è, ripeto, nient’altro che un voto di conferma sulla iniziativa concordata dai 5S con la Lega nel famoso contratto di governo della primavera del 2018 e proposta, imposta e celebrata come “taglio delle poltrone”.

Democrazia diretta vs democrazia pluralistica?
Si tratta di una iniziativa che nasce come parte di un disegno più ampio, diretto a ridimensionare ulteriormente il ruolo del Parlamento e dei parlamentari in nome della democrazia diretta in contrapposizione ad una democrazia pluralistica fondata su un sistema di pesi e contrappesi garanti della libertà, dentro il quale la funzione del Parlamento è chiamata ad essere tanto forte quanto forti sono le altre istituzioni del sistema a cominciare dal Governo. Il disegno era stato affidato per la sua realizzazione non a caso al Ministro per la Democrazia diretta, e dentro di esso il taglio delle poltrone era solo una parte, essendo associato strettamente nella ispirazione alla introduzione del vincolo di mandato e del referendum propositivo. Un disegno diretto a trasferire il più possibile la funzione legislativa su soggetti esterni al Parlamento.

Sarà un voto importante perciò quello di domenica 20 settembre
La scelta di domenica, a mio parere, è tra una idea di democrazia fondata su un generico popolo titolare unico della pretesa d’imperio e sulla sua consultazione attraverso strutture extra-istituzionali, e un’altra idea di democrazia fondata su un pluralismo delle istituzioni al cui interno il Parlamento ha un ruolo insostituibile. Chi è per la prima idea voti Sì. Chi è per la seconda voti No. Io voto No. Per l’ispirazione che guidava l’iniziativa sottoposta al voto di conferma, prima ancora che per la formulazione della legge costituzionale che di essa è figlia.

La riduzione dei parlamentari, non accompagnata da altre modifiche, che impatto avrà sugli equilibri disegnati dalla Carta costituzionale?
Bisognerebbe conoscere le altre modifiche che alla vigilia del voto vedo moltiplicarsi, spesso in contraddizione tra loro, per distrarre gli elettori dal cuore della scelta, con l’argomento che propone il SÌ come il primo passo di un ignoto cammino riformatore, e la vittoria del NO come l’abbandono di ogni proposito di riforma. Per quanto apparentemente banale, l’unica cosa sicura è la riduzione del numero di parlamentari, come al momento sembra, nominati, sulla scia del Porcellum, per così dire “dall’alto”, e quindi scelti più di prima in base alla fedeltà e più di prima controllabili da chi li ha scelti. E, inevitabilmente, in rappresentanza di circoscrizioni più ampie, meno visibili ai cittadini rappresentati. 

Come giudica la scelta di accorpare il referendum costituzionale con le elezioni amministrative?
Quanto al contenuto della scelta dell’elettore votante, causa di confusione tra appelli e pressioni diverse. E, quanto al risultato, inevitabilmente distorto dal diverso tasso di votanti nelle situazioni dove si vota solo per il referendum, rispetto a quelle dove sono previste anche altre consultazioni.

Gli argomenti principali di chi sostiene il Sì sono sempre stati il risparmio di spesa pubblica e la lotta alla casta. Valgono una riforma costituzionale?
Diciamo che l’unico obiettivo dichiarato dai promotori è più brutalmente la riduzione dei membri di una casta di intermediari di scarsa o nulla utilità, il cui costo è comunque ingiustificato ma, loro direbbero, fortunatamente riducibile in proporzione al numero di poltrone che si riesce a tagliare. Più se ne tagliano e meglio è. I 5Stelle si sono limitati ad un, diciamo timido, taglio del 36,5%. Ma ho letto che un esponente autorevole, come nel Pd è Bettini, dichiara che più o meno la metà dei parlamentari “non fa nulla”. Come a dire che lui ne avrebbe tagliato tranquillamente un altro 13,5%. Il problema chiama quindi in causa la funzione del Parlamento e l’utilità dei parlamentari. La verità è che lo svuotamento dell’attività parlamentare e la marginalizzazione del Parlamento è in corso da tempo. È questo il tema che sta dietro il taglio di quei seggi che i 5S propongono agli elettori come poltrone per parassiti. Un tema del quale si può dire tutto fuorché non sia un tema di primissimo rilievo costituzionale. Il fatto è che su questo tema i 5S interpretano, cavalcano e alimentano una linea ahimè coerente anche se disastrosa che si va sviluppando nel tempo all’insegna della lotta alla “casta” e che alla fine travolgerà gli stessi proponenti. Sono gli altri che pian piano si sono a loro accodati che dovrebbero porsi le domande che ora vengono poste ai cittadini. Quello che è sicuro è che il vento che gonfia le vele dell’attesa vittoria del Sì all’insegna del “meno sono meno rubano”, non si accontenterà certo di questo modesto risultato. 

Tutti i partiti principali sono schierati per il Sì. Se la riforma passa chi festeggia?
In teoria dovrebbero festeggiare tutti, visto il 97% dei parlamentari che hanno votato la riforma in Parlamento. Ma soprattutto i 5S, gli unici titolari dell’impresa che, inseguendo il populismo crescente di suo, hanno costretto tutti gli altri ad inseguirli. Ad eccezione naturalmente dei pochi coraggiosi che attorno alla Bonino non hanno avuto paura di andare contro la corrente. La verità è che se vince il Sì i primi che perdono sono i populisti, ormai dentro di loro in buona parte pentiti. Più di tutti destinati a perdere quella che loro giustamente chiamano “la poltrona”.

E se prevale il No?
Se vince il No perde il populismo. O almeno si apre uno spiraglio alla speranza in una partenza nuova. Se mi facessi guidare da sentimenti meschini e dalla indignazione contro il trasformismo di questo primo scorcio di legislatura meriterebbero che votassi Sì. Il modo più sicuro per lasciarli nella trappola nella quale si sono infilati di propria iniziativa, e quindi per liberarsi del maggior numero di loro. Chi invece è preoccupato per la Repubblica e per la crescita del populismo non può che votare No. Io voto No.

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