Nelle ultime settimane le fila dei sostenitori del NO al referendum costituzionale contro il taglio lineare dei parlamentari si sono ingrossate sino a trasmettere per la prima volta la sensazione che il risultato della consultazione possa ritenersi aperto e la vittoria contendibile. Ben altro era il quadro quando la Fondazione Luigi Einaudi decise di farsi promotrice della raccolta firme tra i parlamentari per indire il referendum.
Il tema è così definito e divisivo da rendere vano ogni tentativo, condotto da diversi leader politici negli ultimi giorni, di tenere il piede in due staffe. Se ne accorgeranno presto tutti coloro che ci hanno provato. Se passerà il SI ci sarà un unico vincitore: il M5S, il suo vero leader che è Luigi Di Maio, il populismo che ne contraddistingue la loro azione.
Non potrà dichiararsi vincitore il Partito Democratico, che per tre volte ha votato NO, cambiando parere solo alla fine, per compiacere l’alleato di governo. Non potrà farlo Giorgia Meloni, che ha sostenuto in modo coerente il SI nel suo percorso parlamentare ma nell’ultima settimana ha trasmesso un messaggio insolitamente confuso, affermando che il referendum è nelle mani dei cittadini e non dei partiti e che una eventuale vittoria del NO costituirebbe una possente spallata al governo giallo-rosso. Non riuscirà a dichiararsi vincitore Matteo Salvini, che ha dovuto rintuzzare pesanti dissensi nel partito, a cominciare da Giancarlo Giorgetti, e come la Meloni ha passato gli ultimi giorni di campagna elettorale a spiegare che il partito è per il SI ma la Lega non è una caserma. A buon intenditor, poche parole.
In questo contesto ci si recherà alle urne per tagliare in modo lineare 350 parlamentari, in nome di un risparmio impalpabile per le casse dello stato: 57 milioni su un bilancio annuale di 850 miliardi. Come se un cittadino con uno stipendio di duemila euro pensasse di risolvere le economie della propria famiglia tagliando spese per due euro al mese. Non è neppure un segnale, è una stupidaggine.
L’altra motivazione che va di moda è che le camere sarebbero più efficienti. Carlo Cottarelli, nell’intervista che ha rilasciato al nostro giornale, ha spiegato che soprattuto il Senato avrà enormi problemi di funzionamento con soli duecento componenti. Altro che velocizzazione e semplificazione. L’unico modo per rendere il sistema più efficiente resta quello di passare al monocameralismo, con una sola Camera che legifera, che a quel punto potrebbe essere composta anche da 600 deputati o meno.
La più strampalata delle ragioni a sostegno del SI è quella in base alla quale il taglio lineare dei parlamentari è un modo per avviare le riforme della Costituzione. Nessuna rettifica propedeutica alla riduzione dei parlamentari è però stata avviata nell’ultimo anno se non la variazione dell’elettorato attivo e passivo per il Senato, che ha trasformato il nostro bicameralismo da paritario a perfettissimo. Un modo per peggiorare le cose insomma. Il tutto con l’aggravante che si sta subordinando la modifica della Costituzione alla riforma di una legge ordinaria come quella elettorale.
La verità è che questo taglio è niente altro che il sangue promesso da anni a tutti quei cittadini italiani che hanno seguito il M5S in un baratro di odio sociale nei confronti di chiunque ha un tenore di vita ritenuto superiore al proprio, indipendentemente dalla formazione, dal rischio, dalla qualità. Il Partito Democratico, la Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Italia Viva, i sindacati, nessuno ha avuto il coraggio di andare controcorrente, di porre un argine a tanta scempiaggine, di denunciare questa deriva populista, miope, rancorosa, rabbiosa. Un atto di codardia politica che pagheremo tutti a lungo.
Il punto non è se la prossima Camera sarà composta da 400 deputati invece che da 630 e se il Senato avrà 200 senatori invece che 315. Al netto delle difficoltà che abbiamo descritto, resteremo una Repubblica democratica. Il problema è il segnale che farebbe passare una vittoria del SI. Un inno alla mediocrità che spingerebbe sempre più le nostre eccellenze ad abbandonare l’Italia per poter mettere alla prova le proprie competenze in paesi che premiano la qualità, la competitività e la professionalità. C’è un solo modo per evitare tutto questo: No al populismo, No al referendum costituzionale.