150 mila euro sono ancora pochi per retribuire il presidente dell’INPS. Bene hanno fatto i ministri Catalfo e Gualtieri ad aumentare una indennità che si doveva provare vergogna e pudore ad offrire a un professionista chiamato a gestire centinaia di miliardi di euro di denaro pubblico. Fino ad agosto il presidente dell’Istituto nazionale di previdenza sociale veniva compensato con 62 mila euro lordi l’anno. Una cifra che nel settore privato un manager percepisce in un mese, quando gli va male. Fino a quando non avremo il coraggio di riconoscere questo principio semplice semplice, saremo obbligati a tenerci un Tridico qualunque alla guida dei centri strategici del Paese, anche perché i migliori sceglieranno il settore privato, soprattutto all’estero.
No presidente Tridico, non vogliono colpire il governo attraverso lei, come si è affrettato a dichiarare, vogliono colpire proprio lei, che fino ad oggi si è dimostrato inadeguato a ricoprire quel delicato incarico. E l’elenco dei suoi errori è lungo quanto il suo mandato: dal sito INPS andato in tilt per il click day agli autonomi al successivo annullamento dello stesso click day da parte del ministro; dalla falsa accusa di attacco hacker al sito dell’Istituto sino ai ritardi nell’erogazione della cassa integrazione.
Diamo per buono che il presidente Conte non fosse a conoscenza dell’accaduto. Anche se appare strano che non sia stato informato dai ministri o dai dirigenti di Chigi che hanno lavorato al dossier. Erano di certo bene informati i ministri proponenti, Catalfo per il M5S e Gualtieri per il PD, che hanno firmato un atto con effetto retroattivo. Difficile immaginare che nulla sapesse Luigi Di Maio, che ha fortemente voluto e sovente difeso l’operato di Tridico e sotto la cui guida il ministero del Lavoro, il 12 giugno 2019, ha avviato le procedure per l’aumento delle indennità al Consiglio di amministrazione dell’Inps.
Ciò che risulta inaccettabile sono i tempi e i modi di questa vicenda, considerato che il decreto che ne sancisce l’aumento dello stipendio è stato firmato proprio ad agosto, negli stessi giorni in cui il presidente dell’INPS ha montato del tutto arbitrariamente, in piena campagna elettorale, la polemica sui parlamentari furbetti che hanno chiesto il bonus di 600 euro. Rendendo un importante servizio alla causa del SI, difesa dal governo.
Anche questo pasticcio si concluderà in una bolla di sapone. Insopportabile è che il governo dei vizi privati e delle pubbliche virtù, del SI al taglio lineare dei parlamentari per ottenere un risparmio irrisorio, continui a praticare un populismo peloso, volto a persuadere i cittadini che i problemi dell’Italia si possano risolvere economizzando sulle indennità della classe dirigente e non, piuttosto, investendo e operando per aumentarne la qualità.