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Democrazia deliberativa: per battere il populismo bisogna guidare e non inseguire il cambiamento

Quando un personaggio politicamente divisivo come Beppe Grillo parla, si scatenano le tifoserie: visionario illuminato o pericoloso sovversivo, una specie di derby. Reazioni tribali, scontri tra ultrà, barricate: le repliche alla sua sparata sul sorteggio dei parlamentari e verso chi ha cercato di comprenderne le origini confermano che la nostra democrazia arranca.

Si scambiano i sintomi del malessere con le sue cause. Quando invece, di fronte a provocazioni così conclamate, servirebbe un dibattito attento e ragionato. Esiste un problema di legittimazione della democrazia rappresentativa? Sì. Se ne discute all’estero? Sì. Quali contromisure si stanno individuando?

In Francia, il dibattito sul “sorteggio” interessa perfino studiosi e accademici. In Irlanda, il referendum sull’aborto è stato preceduto da interessanti forme di sperimentazione di democrazia deliberativa. Nella comunità germanofona del Belgio, è stata di recente formalizzata un’assemblea deliberativa di cittadini sorteggiati a rotazione, divenuta la terza istituzione democratica della regione. In alcuni stati americani, cittadini estratti a sorte deliberano sui pro e i contro di un quesito referendario e le argomentazioni principali vengono inviate a tutti gli elettori prima del voto. Da qualche tempo l’OCSE studia la democrazia deliberativa e ha contato 289 esperienze dal 1986 in poi, di cui il 40% negli ultimi cinque anni. Guidano la classifica Germania e Australia, seguiti da Canada, Danimarca e USA. Dunque, il “vecchio” Occidente.

Tutti impazziti? La verità è che esiste un fraintendimento a monte: la democrazia deliberativa non è, come taluni sostengono a caldo, alternativa a quella parlamentare, ma può esserne complementare, contribuendo a rafforzarla. Il sorteggio, che serve per garantire una maggiore rappresentatività della popolazione e una simile capacità di influenza sulle decisioni, è infatti solo uno degli ingredienti. In pratica, i cittadini estratti a sorte si riuniscono e deliberano, sulla base del rispetto e della comprensione reciproca: comunicano tra loro, ponderando e riflettendo su preferenze, valori e interessi, in merito a problemi comuni.

La democrazia deliberativa non è evidentemente una panacea ma può giocare un ruolo importante per dare un po’ di respiro a democrazie affaticate. L’evidenza mostra che esperienze del genere, se ben progettate, portano maggiore legittimazione, specialmente per le decisioni più complicate, migliorano la fiducia nei governi e nelle istituzioni democratiche, aiutano a contrastare la polarizzazione e la disinformazione. In sintesi, hanno un effetto rigenerante sulla democrazia.

Questo obbiettivo – il rafforzamento di un modello democratico sotto pressione ovunque – non è perseguibile se si rinuncia ad un approccio eziologico ai fenomeni. Senza un’indagine delle cause, infatti, come si può pensare di riconoscere i problemi e proporre alternative più serie ed efficaci rispetto alle proposte di Grillo? Se non ci si apre all’esplorazione di vie nuove e all’uso del pensiero non convenzionale, come si può pretendere di guidare – e non inseguire – il cambiamento? Per battere il populismo, nel campo di gioco bisogna entrare e provare a vincere con la forza delle proprie idee. Rimanere sugli spalti, tifando e gridando, non può avere che un esito: perdere a tavolino.

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