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Capri-Revolution

Sto guardando Capri-Revolution di Mario Martone (2018): quanto di più apollineo e dionisiaco si possa al contempo immaginare, considerando che i fatti narrati, per quanto irreali, realmente avvennero in varie parti della civiltà occidentale tra la fine dell’Ottocento e i primi del Nove. Il regista, che non ha bisogno di presentazioni, varia continuamente il suo registro pittorico dalla maniera della Scuola di Posillipo, del verismo e naturalismo meridionale, alle immagini filtrate, espressioniste e simboliste della Secessione austro-germanica.

Matisse, Apollinaire e Debussy pervadono questo recentissimo Preludio di pomeriggio di un fauno (le musiche di Appart [Sascha Ring] e Philippe Thimm sono in tal senso magistrali). Con uno sconfinare verso il rito, si percepisce un’altra secessione, quella più tarda dell’Acktionismus. Questo sotto il profilo stilistico e idealistico del film. Nei contenuti, la pellicola parla la lingua panteistica di un Withman, prossima alle civiltà del Mediterraneo antico quando tutto era barbarico, orgiastico, collettivo.

Chi segue Martone dagli esordi filmici di Morte di un matematico napoletano (1992) non può non amare quest’ultima pellicola che parla di una pace idealistica perseguita, su fronti avversi, da militanti proto-socialisti e da una comunità proto-Hippy del 1914, mentre fuori dell’isola si prepara la guerra più crudele e sanguinaria del XX secolo. Un conflitto in piccola scala su di una piccola isola, tra scienza moderna e religiosità presocratica, ma incruento, benefico, dove le parole e i gesti sono tutto, elevando il primato dell’intelligenza su quel medesimo tutto: le vite minime e grette di una comunità silvo-pastorale campana, sovrapposte a quelle massimamente tragiche dello scacchiere europeo.

“Che pace, sembra tutto fermo, immobile”, ma non è così. Nella protagonista opera la più grande agnizione possibile in una donna del popolo ai quei tempi. La sua presa di coscienza non è di classe, anch’essa è minima: imparare a leggere, imparare ad amare, imparare ad apprezzarsi e toccare, infine, la piena libertà di se stessa, l’argonautico viaggio.

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