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Pippo, Ciccio e il MES

A guidare un governo in tempo di bonaccia potrebbe riuscire pure Paperoga, specie se coadiuvato dalle altissime competenze di una burocrazia come quella italiana, che s’è mostrata capace di mitigare perfino qualche azzardo geografico dell’inquilino attuale della Farnesina. Durante una burrasca, però, già occorrerebbe chiamare a gran voce Gastone, o ancor meglio Topolino per chi fosse affezionato al raziocinio, per quanto fumettistico. Ma quando il mare è in tempesta servono gli statisti. Gli statisti non servono per dire che cosa e quando e per quanto tempo chiudere, o che cos’altro lasciare aperto. A quello può badare qualche seconda o perfino terza fila. Gli statisti servono per decidere di salire al volo su quel particolare tipo di treno, che passa una volta soltanto, mentre gli altri ti gridano di non muoverti da là.

Nell’aprile di questo disgraziatissimo anno si discuteva animatamente della possibilità di accedere ad un prestito di 37 miliardi di euro, disponibili subito, ad interessi prossimi allo zero, all’unica condizione di spenderli, per intero, per necessità sanitarie riconducibili alla pandemia: (una parte de) il famigerato Meccanismo Europeo di Stabilità. Sono passati sei mesi e quei soldi sono ancora lì. L’Italia non li ha chiesti, e non li ha chiesti perché il primo partito in Parlamento, azionista di maggioranza del governo, non ha voluto. E perché non ha voluto? Perché tra gli slogan sbandierati per strappare facili consensi c’era quello del no al MES e a qualunque altro acronimo europeo, senza distinzioni.

Potremmo ricordare che quello slogan, ammesso che avesse un senso e non credo ne avesse di robusti, si riferiva comunque a ciò che per MES si intendeva in un’altra era geologica. Egualmente potremmo argomentare perché accedere a quei fondi ci sarebbe convenuto perfino di fronte ai mercati finanziari. Potremmo, ma sarebbe inutile, perché il problema ha a che fare con la percezione e non con la realtà dei fatti o con la logica. Il timore del gruppo dirigente del M5s era quello di essere tacciati, una volta accettato il MES, di collaborazionismo, di intelligenza col nemico. Avendo predicato per anni con toni apocalittici, il timore era che sarebbero stati trattati da apostati, da convertiti alle perversioni dell’alta finanza, a quelle della casta, o – non sia mai – di una élite. D’altro canto accettare il MES, o almeno pensarci, avrebbe implicato l’onere di spiegare, di persuadere gli elettori, che è poi quello che avrebbe fatto un politico decente. Al contrario, il no al MES è divenuto argomento di scontro interno su chi fosse più puro, riposi in pace Nenni.

Veniamo ai fumetti. Lo statista, mettiamo un capo di governo o un segretario di partito, in una situazione del genere avrebbe rischiato di andare a casa pur di prendere quei soldi. Perché i migliori scienziati italiani, più d’uno su queste pagine, avevano avvertito per tempo che il ritorno del Covid in autunno era cosa certa e quei soldi, subito disponibili, sarebbero serviti per mille cose. Sarebbero anzitutto serviti per non lasciare nulla d’intentato, ché quando si tratta di vite umane è imperativo categorico. Sarebbero serviti poi, più prosaicamente e politicamente, per non dovere, sei mesi dopo, mangiarsi le mani per non averli presi. Ecco che cosa fa uno statista. Vede e provvede per tempo, e il tempo si premura di dargli infine ragione, lo statista. A noi sono toccati Pippo e Ciccio di Nonna Papera. Bravi ragazzi, ma statisti no.

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