Sabato, alle 11:24 del mattino (ET), l’America, ed il mondo, hanno svoltato. Nell’istante in cui la CNN ha annunciato che Joe Biden sarebbe diventato il 46º presidente, gli Stati Uniti hanno imboccato una strada molto diversa da quella che avrebbero preso se il presidente Donald Trump fosse stato rieletto.
«Vale la pena di approfittare del momento per brindare e tirare un respiro di sollievo», ha scritto la redazione del New York Times, che ha sostenuto la candidatura di Biden. Il paese ha superato quello che, a detta del giornale, «per l’esperimento americano» sarà probabilmente considerato «come un prolungato stress test». «Il presidente ha fatto del suo meglio per minare le basi democratiche della nazione. Sono state scosse, ma non sono andate in frantumi. Trump ha messo in luce i loro punti deboli, ma anche la loro forza».
Cesseranno, dunque, gli attacchi presidenziali alle istituzioni democratiche, alla scienza e ai più deboli, compresi gli immigrati e le minoranze religiose. La Casa Bianca cesserà di essere la più grande fonte di menzogne del paese. L’America non avrà più un presidente che usa le divisioni ed i contrasti come strumenti di potere; e gli americani di colore non dovranno sopportare il peso della politica del «terrore razziale». La governance e la politica estera del paese non procederanno a colpi di tweet. Inoltre, Biden ha già annunciato una task force per combattere una pandemia che sta peggiorando.
La presidenza demagogica di Trump, invece di trasformarsi in una «rifondazione» che avrebbe calpestato i valori irrinunciabili del paese, resterà, dunque, un’anomalia nella storia americana. Per quanto il mondo rimanga insidioso, i timori che un secondo mandato di Trump avrebbe distrutto la Nato e compromesso il ruolo dell’America quale esempio dei valori democratici, non si materializzeranno. Gli Stati Uniti cercheranno di fare qualcosa per un pianeta che si sta riscaldando. La sconfitta di Trump sarà motivo di sollievo anche all’estero, dove le nostre vite, le vite di persone che non possono in alcun modo influenzare il potere americano, sono tuttavia plasmate dal gigante collocato a cavallo tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico.
Ma l’esplosione di gioia nelle strade di città come Philadelphia ed Atlanta, dove i cittadini hanno votato numerosissimi, non è stata condivisa dal vasto entroterra americano. Più di 70 milioni di americani hanno votato comunque per Trump e lo hanno seguito con un’intensità che eguaglia l’antipatia che provavano i suoi detrattori, che hanno sempre stentato a comprendere come possano gli amici e i parenti che lo amano giustificare la sua aggressività, le menzogne, la sua intolleranza. Eppure, i sostenitori di Trump, anche nel caos che lo contraddistingue, vedono un fustigatore delle «élites», che sono convinti li trattino, e trattino i loro valori, con un atteggiamento insopportabile di superiorità.
Trump ha parlato per un gran numero di americani che credono che l’adesione del governo alla globalizzazione abbia distrutto i loro mezzi di sostentamento. La crescente secolarizzazione e le riforme sociali «di sinistra» hanno convinto poi altri che la loro fede cristiana fosse in pericolo. E il fatto che i Repubblicani possano mantenere il controllo del Senato e addirittura recuperare qualche seggio alla Camera, riducendo il margine di maggioranza dei Democratici, lascia intendere che mentre molti conservatori sono stufi delle pagliacciate di Trump, non hanno affatto chiuso con le sue politiche.
Trump se ne andrà presto, ma lo smarrimento politico che ha sfruttato per ottenere la presidenza nel 2016 rimane. Il suo rifiuto di ammettere la sconfitta ora fomenterà una rabbia dal basso che potrebbe creare parecchi problemi alla presidenza di Biden. Gli strascichi delle elezioni serviranno solo ad evidenziare il distacco e la disaffezione interna ad un paese sempre più simile agli Stati «Disuniti» d’America. Non per caso, parlando dal suo paese natale a Wilmington nel Delaware, sabato sera il nuovo presidente si è rivolto agli elettori che sostengono Trump. «Poniamo fine, qui ed ora, a questo periodo infausto di demonizzazione in America», ha detto Biden. «Il rifiuto dei Democratici e dei Repubblicani a collaborare l’uno con l’altro non dipende da qualche misteriosa forza al di là del nostro controllo. È una decisione. È una scelta che facciamo. E se possiamo decidere di non cooperare, allora possiamo anche decidere di cooperare». Biden si rende conto delle furie (e della loro collera) che stanno scuotendo la nazione che guiderà tra 73 giorni. La sua presidenza dirà se sarà in grado di placarle.