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Recovery: il diritto di reprimere i diritti

Antefatto numero uno: gli organismi della famigerata Europa hanno mostrato nei mesi scorsi di sapersi scuotere dall’usuale torpore e hanno stanziato, con insolita rapidità e coesione, la somma di 750 miliardi di euro (all’interno di un meccanismo complessivo che ne conta 1.800) per far fronte comune contro la pandemia. Questo denaro affluirà ai Paesi membri secondo criteri diversi e attraverso canali differenti, uno dei quali è il bilancio europeo 2021-2027, da approvare in tempi brevi.

Antefatto numero due: diversi Paesi europei hanno recentemente fatto vanto di rifiutare il tradizionale canone liberale delle democrazie avanzate, noto nella sua forma più essenziale come “Stato di diritto”. Non si tratta di una novità assoluta, e non è un caso: Vladimir Putin aveva teorizzato in un’intervista del giugno dell’anno scorso la necessità di passare ad una democrazia illiberale, ad un sistema cioè in cui chi comanda non è tenuto al rispetto delle regole, e dove non esistono libertà assolute da rispettare. A fronte di ciò, poiché stare nell’Unione Europea implica abbracciare un minimo di valori comuni, si è pensato di vincolare l’erogazione di quelle somme alla promessa unanime di rispettare lo Stato di diritto. In prosa: se vuoi i soldi non puoi schiacciare le libertà del tuo popolo.

Fatto: Polonia e Ungheria hanno posto il veto sul bilancio europeo perché rivendicano il diritto a reprimere ogni diritto: se il resto d’Europa dice di essere tanto liberale, allora deve concederci – dicono – di rifiutarci di esserlo a nostra volta.

Si potrebbe richiamare Popper, il suo paradosso della tolleranza e il conseguente diritto di autopreservazione delle istituzioni politiche, per spiegare perché in nessun caso ad Ungheria e Polonia può essere permesso di ricattare tutti gli altri Paesi europei. Ma dubito che la vicenda meriti tanto, condita com’è di piccoli cabotaggi personali, inconfessabili intese oltre confine e miopi interessi di bottega. Fatto è che l’Europa è stata sfidata su ciò che più la definisce: un modello di libertà, di cittadinanza e di welfare che non ha uguali nel mondo, ed è finalmente ora che l’Europa questa sfida la raccolga senza pavidità alcuna. L’attacco planetario che le libertà democratiche patiscono da almeno un lustro ha subito un’importante battuta d’arresto, al di là dell’Atlantico, la settimana passata. È ora che l’Europa dichiari a gran voce che le libertà che proclama sono reali e che mai saranno oggetto di scambio, quale che sia la posta in gioco.

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