I giorni della pandemia ci stanno riservando parole amare dal sapore sinistro. Ha cominciato Toti, presidente della regione Liguria, quando faceva rientrare le categorie produttive tra quelle da privilegiare nella cura del Covid19. E “pazienza”, se i pensionati venivano dopo.
Giorni addietro è stato il turno di Domenico Guzzini, 61 anni, presidente già costretto alle dimissioni di Confindustria Marche. Il suo eloquio, pur se traballante, è stato persino chiarissimo: “Come sapete ci aspetta un Na-, un Nata-, un Natale molto magro perché stanno pensando addirittura di restringere ulteriormente che questo significa andare a bloccare anche un retail che si stava rialzando per la seconda volta da una crisi e lo stanno mettendo nuovamente in ginocchio. Io penso che le persone sono un po’ stanchi (sic) di questa situazione e vorrebbero alla fine venirne fuori, anche se qualcuno morirà pazienza”.
Eppure qualcuno ci aveva avvertito. Per esempio, Eric Fromm, quando nel 1976 pubblicò “Avere o Essere”. In quel saggio parlava a tutti, ma soprattutto ai giovani che lessero avidamente le sue pagine dove era spiegato che c’è sempre un bivio nella vita con due cartelli indicatori, appunto “avere” ed “essere”. Imboccato il sentiero dell’avere, tutto, ma proprio tutto, sarebbe finito sotto quel denominatore: pensieri, parole, scelte, matrimoni, militanze, decisioni piccole e grandi votate al culto del possesso. La strada dell’essere, sicuramente più ardua, sarebbe stata per gli amanti della vita, degli affetti, di coloro che avrebbe dato la precedenza alla signoria dell’essere, senza negare la necessità dell’avere.
Fromm guardava vicino e lontano. Ora quel “lontano” che lui poteva solo intravedere, si è fatto a noi vicino. E in questo tempo di pandemia, ci è dato finanche toccare con mano.
Nelle esternazioni di Toti e di Guzzini compare la parola “pazienza”. Che non dovrà essere – evidentemente – solo la virtù di chi aspetta, ma piuttosto il sostantivo del verbo patire. Ora, che morire sia una legge di natura, malvolentieri lo sappiamo tutti; che debba essere finanche una pena, e quindi di morte, cui dovrebbe sottoporsi il pensionato perché non è produttivo, come minimo è abuso teorico di potere, sarebbe un introdurre motu proprio la pena di morte.
“Sono molto addolorato per la mia dichiarazione che, quando ho riascoltato, ho realizzato quanto fosse grave e distante da ciò che penso”. Così ha proseguito sempre con prosa traballante – il Domenico Guzzini. Così come tutti quelli che parlano a loro insaputa e non si vogliono convincere che, una volta pronunciate, le parole diventano proprietà comune di chi ha parlato e di chi ha ascoltato.
Se Domenico Guzzini pensa in un modo e parla in un altro deve mettersi d’accordo prima con sé stesso e scegliere quello che vuole dire. Per noi ha pensato quello che ha detto e che abbiamo ascoltato. E, forse, ha detto persino la verità. Ha un attenuante: ha parlato ad alta voce. Ma noi non abbiamo nessun torto se abbiamo capito bene che è questo il pensiero di un imprenditore presidente. Vorrebbe convincerci che tra la borsa e la vita, viene prima la borsa.
E poiché “c’è sempre un stupido che le inventa e un cretino che le perfeziona”, a stretto giro, non ha lesinato il suo contributo un altro araldo del pensiero ottimistico ed egualitario. Si è fatto avanti l’eurodeputato Angelo Ciocca con alcune perle. La prima: “Se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia”.
Signor Ciocca, una parte qualsiasi o ha in mente una classifica? A noi calabresi servirebbe l’esatta posizione perché dovremo sottoporla a chi dei nostri si è imparentato con voi della Lega. Meglio conoscere quanto ci stimiamo e vogliamo bene, perché sarà pur vero – come ha detto lei – che “sulla salute non si può fare politica, ma un ragionamento economico” sì. Ed è per questo che siamo un tantino preoccupati. Neanche Eric Fromm in questa bassa contingenza riesce a consolarci, oltre al tasso di produttività, abbiamo la mala politica, la mala sanità, e la mala per antonomasia.