La democrazia è fatta di precedenti, che una volta affermati e concessi restano e divengono consuetudini. Comportamenti che ispirano e regolano per il futuro ulteriori decisioni delle Istituzioni, perché equiparati a fonti non scritte della Repubblica. Perciò il Quirinale, da sempre, presta molta attenzione a stabilire precedenti.
Fu questo uno dei motivi che indusse il Presidente Mattarella a non concedere a Salvini l’opportunità di reclutare i voti necessari a conquistare la maggioranza in Parlamento. Chiese che i deputati e i senatori interessati a sostenere quel governo si palesassero, unendosi in gruppi. Ciò non accadde. Nacque così il Conte I, sostenuto dal M5S e dalla Lega. Come non ricordare la fotografia di Conte, Di Maio e Salvini, soddisfatti e sorridenti, con le slide dei decreti sicurezza!
L’opposizione del Partito Democratico a quel governo fu decisa e risoluta. Il PD era definito dal M5S come “il partito di Bibbiano”, che “toglieva i figli alle famiglie con l’elettroshock per venderseli”.
Dopo neppure un anno il M5S, rivendicando la propria natura di movimento post-ideologico, ruppe l’accordo con la Lega e ne sottoscrisse uno proprio con il PD e poi anche con Italia Viva. A guidarlo, ancora una volta, Giuseppe Conte, pronto a sostituire con disinvoltura la foto di Salvini con quella di Renzi e Zingaretti.
Una unione apparentemente solida. Tanto da far affermare a Conte: “Che io possa andare in Parlamento a cercare maggioranze alternative o che io voglia addirittura dare vita a un mio partito è pura fantasia. Non facciamo i peggiori ragionamenti da Prima Repubblica. Restituiamo alla politica la sua nobiltà, la sua nobile vocazione. Voliamo alto”.
Allo stesso modo Luigi Di Maio, dopo il taglio dei parlamentari, spiegava così il progetto di legge per imporre (contro la Costituzione) il vincolo di mandato, la battaglia finale del M5S per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno: “i partiti sono terrorizzati. Con questo metodo i traditori non potranno più vendersi al miglior offerente”.
Proprio in queste ore si è invece aperta una affannata caccia ai senatori disponibili a sostenere il terzo governo Conte, questa volta sostenuto da Clemente Mastella, tra i politici più disprezzati della cosiddetta prima Repubblica. Il Pd e il M5S, nella convinzione, forse fondata, di poter far digerire tutto agli italiani, con un prodigio linguistico, hanno addirittura trasformato i disprezzati Razzi e Scilipoti di Denis Verdini nei Responsabili e Costruttori di Conte e Mastella.
Molti ritengono che sia stato un errore, un azzardo, un atto irresponsabile aprire una verifica o, che dir si voglia, una crisi di governo in un momento tanto delicato, in piena pandemia e con la gestione del Recovery Fund. Questo giornale, al contrario, pensa che sia stata una scelta colpevolmente tardiva da parte di chi aveva il potere di farlo.
Abbiamo avuto, sin da marzo, una gestione caotica e confusa della pandemia: dalla mancata decisione sulla zona rossa di Alzano e Nembro alla dissennata estate che ha diffuso il virus in tutto il Paese sino al caos nelle scuole. Per non parlare del piano per l’utilizzo dei fondi del Next Generation EU, arrivato con ritardo e senza una chiara e definita idea di progresso e sviluppo per l’Italia. Irragionevole infine l’ottuso rifiuto, puramente ideologico, a utilizzare il MES, un prestito a interessi negativi per finanziare l’ammodernamento del nostro sistema sanitario.
Proprio perché l’Italia è chiamata a scelte di portata straordinaria ha bisogno di un governo guidato da un presidente con uno spessore politico superiore a quello che Conte ha dimostrato di avere governando senza soluzione di continuità con Salvini, Trump, Zingaretti e Renzi. I fatti dimostrano che i governi Conte uno e due sono tra i peggiori della storia della Repubblica. Provare a inserire maggiore qualità e competenza nell’esecutivo che per due anni ancora sarà chiamato a governare l’Italia non è un errore, è un dovere.