di Emanuele Raco e Salvo Spagano
Per lei la formazione del governo Draghi ha costituito la rivincita della Costituzione scritta su quella deformata nella prassi. Ci spiega perché?
In Italia abbiamo due costituzioni, e dunque nessuna alla prova dei fatti. C’è una Costituzione scritta che si mantiene, non del tutto inalterata, rispetto a quella di settantatré anni fa, e c’è poi una Costituzione materiale, cioè quella che vive di fatto nei rapporti politici. La Costituzione materiale, che alcuni considerano – credo sbagliando – la vera Costituzione, ha spesso deformato il volto di quella scritta. Ma a volte succede che la lettera della Costituzione si prenda una rivincita.
Ci spieghi come.
Se leggiamo le – peraltro scarne – disposizioni costituzionali dedicate alla formazione dei governi, troviamo due primattori, che sono il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio. Il primo nomina il secondo e, su proposta del secondo, nomina poi pure i ministri. Non si parla di partiti. Ai partiti la Costituzione dedica un’altra norma, che è l’articolo 49, con il quale attribuisce loro un ruolo non di assoluto o preminente protagonista della vita pubblica, ma di soggetto collettivo che concorre alla vita pubblica insieme ad altri soggetti collettivi come sindacati, associazioni e perfino come noi stessi che in questo momento ci interroghiamo sulle vicende della cosa pubblica. Nella formazione del governo Draghi i partiti sono rimasti quasi al buio, hanno cioè dovuto attendere il momento in cui il Presidente ha sciolto la riserva e ha comunicato la lista dei ministri. Questo corrisponde alla lettera dell’articolo 92.
Un’altra rivincita della Costituzione è il fatto che è stato Draghi a presentare il programma e non i partiti?
Direi di sì, perché un’altra norma della Costituzione, l’articolo 95, assegna un ruolo di leadership al Presidente del Consiglio. È lui che coordina l’attività dei ministri ed è lui che scandisce l’andamento generale del governo. Lo fa sulla base di un programma, che era stato scritto in maniera puntuale, e perfino puntuta, nelle esperienze “contrattuali” tra gialli e verdi, in trenta punti, ove il presidente Conte apparve come una sorta di portavoce dei vicepresidenti del Consiglio, che poi erano i segretari dei due partiti che formavano la coalizione. In quel caso la debolezza del Presidente fu la sua forza.
Col Conte due come andò?
Con il secondo governo Conte il ruolo del Presidente del Consiglio, per quanto anche in quel caso preceduto da un documento programmatico in ventinove punti tra Zingaretti e Di Maio, si è accentuato anche a causa della pandemia, e lì direi che è successo il contrario: la sua forza è stata la sua debolezza, ciò che ne ha infine determinato la crisi. Io penso che possiamo anche trarre una lezione da tutto quello che è accaduto.
Quale?
Intanto la crisi dei partiti, che è attestata dal fatto che ci avviamo a completare la legislatura con tre governi e due presidenti del Consiglio che non si sono presentati alle elezioni, e perfino con tre formule diverse l’una dall’altra. Questa legislatura era cominciata zoppa, con tre formazioni politiche più o meno equivalenti, in una situazione di apparente ingovernabilità delle assemblee parlamentari, tant’è vero che si minacciava un pronto ritorno alle urne e perfino l’impeachment per Mattarella che non voleva accettare alcuni nomi. Invece abbiamo sperimentato il governo forse più di destra della storia italiana, e poi quello più di sinistra, quantomeno a sommare le sigle. Infine ora stiamo sperimentando il governo più di unità nazionale di tutta la storia repubblicana.
Un limite o un pregio del nostro sistema?
Questa è la virtù del sistema parlamentare, la sua attitudine ad accompagnare le stagioni della politica con formule di governo, e quindi maggioranze parlamentari, diverse. Perché il sistema parlamentare questo lo consente, a differenza del sistema presidenziale che, al contrario, irrigidisce dando mandato ad un singolo che permane per un certo tempo, anche se combina sfracelli come nel caso di Trump e non lo schiodi se non mandandolo davanti a un tribunale. Il sistema parlamentare consente al contrario di liberarsi dei corpi morti e di fare resuscitare un corpo vivo. Può essere un vantaggio o meno: ci sono difensori ed oppositori del sistema parlamentare, ma in questa nostra esperienza esso ha dimostrato la qualità della flessibilità, che è poi qualità dei vivi e non dei morti. I morti sono rigidi.
Un governo con una base parlamentare così ampia potrebbe essere una buona occasione per tentare qualche riforma di sistema?
Abbiamo visto che il metodo usato per le grandi riforme che sono state tentate non funziona. Se mettiamo insieme la riforma di una cinquantina articoli, come fecero Berlusconi nel 2005 e Renzi nel 2016, il corpo elettorale li boccia. Intanto perché, mettendo tutto assieme, violento la libertà degli elettori costringendoli, se chiamati al referendum confermativo, ad una scelta binaria: prendere o lasciare. Mi ricordo che avevo suggerito di spacchettare la riforma Renzi, perché ad esempio si poteva essere d’accordo con l’abrogazione del CNEL, d’accordo a ricentralizzare alcune competenze regionali, ma al tempo stesso in disaccordo sul tipo di Senato che veniva fuori da quella riforma. Il suggerimento non è stato accettato perché Renzi probabilmente pensava di incassare tutto e invece è rimasto a secco.
E poi perché non funzionano le grandi riforme?
Il secondo motivo per cui non funziona tale metodo è perché una riscrittura profonda della Costituzione non avviene perché un genio della lampada si sveglia un mattino e scrive una lenzuolata di nuovi articoli, tra l’altro redatti in burocratese stretto. L’art. 70 della Costituzione nella sua versione originaria e per fortuna ancora vigente è composto da nove parole: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Nelle riforme proposte a quest’articolo c’era un delirio di rinvii, centinaia di parole con rimandi a questo e quell’altro testo legislativo. Sa perché è avvenuto questo?
Ce lo spieghi.
Perché la nostra Costituzione è figlia di una pagina tragica della storia seguita a una dittatura di vent’anni, ai bombardamenti, a una guerra civile. Quella fu un’esperienza affratellante per liberali, comunisti, cattolici, socialisti che tutti insieme, in diciotto mesi, scrissero una nuova Costituzione. Il quarto Presidente degli Stati Uniti si chiese una volta se non fosse una ferita alla democrazia il fatto che si vincolino le generazioni successive alla generazione che ha scritto la Costituzione. Non dovrebbe ogni generazione potersi impadronire non soltanto dei governi ma anche delle Costituzioni?
Quale fu la risposta?
No, perché la generazione costituente ha il merito storico di avere restituito al suo popolo la libertà, come accadde per l’Italia, o l’indipendenza come accadde agli americani. E così come nessuno ha la possibilità di scegliere la terra in cui nascere o l’aria del suo primo respiro, così non tutte le generazioni possono darsi una Costituzione. Per fortuna questi tornanti della storia non si ripetono molto spesso perché sono tragici, e io non credo siamo adesso di fronte ad uno di questi tornanti. Credo tuttavia che alcune riforme siano utili.
Il governo Draghi proporrà delle riforme?
Osservo che questo governo appena nato non ha un Ministro per le riforme, e forse la cosa gli porterà bene, però ciò implica che non scommette sulle riforme costituzionali come caposaldo del proprio programma. Almeno una riforma penso però che dovrà essere fatta, quella elettorale, perché abbiamo tagliato i numeri del Parlamento. Questo implica un effetto maggioritario indiretto perché funziona come un collo di bottiglia: meno posti a tavola significa meno commensali, e quindi le forze politiche minori hanno una difficoltà se non una impossibilità ad essere rappresentate. Inoltre subiamo una disparità territoriale perché la riduzione finisce con il penalizzare le regioni più piccole. Quindi una legge elettorale che si adegui alla riforma costituzionale andrà fatta. Dopodiché sarebbe probabilmente utile intervenire per punti specifici senza mettere troppa parte al fuoco. Ad esempio vedrei bene un riordino delle competenze regionali, dopo tutto quello che abbiamo visto durante questa pandemia.
Il superamento del bicameralismo non lo vede come una priorità?
Noi abbiamo un bicameralismo perfetto che non ha nessun altro Paese. I costituenti votarono un ordine del giorno in cui dissero: noi scegliamo la forma di governo parlamentare però dobbiamo costruire degli anticorpi contro l’assemblearismo, dei meccanismi di stabilizzazione dei governi. Io personalmente opterei per il meccanismo tedesco della sfiducia costruttiva, in cui si può mandare a casa un governo solo se contestualmente se ne costituisce un altro, mentre noi in Italia abbiamo sperimentato la fiducia distruttiva, perché Conte ha avuto la fiducia dopodiché se n’è dovuto andare a casa. Il bicameralismo in fondo è una garanzia, come è una garanzia che esista un giudice d’appello rispetto a quello di primo grado. Le Istituzioni, come gli uomini, sono imperfette, e dobbiamo quindi dotarci di anticorpi contro la loro fallibilità.
In pandemia il diritto alla salute è sembrato prevalere su tutti gli altri, anche sui diritti afferenti alla dimensione economica. È presente in Costituzione una gerarchia tra diritti fondamentali, che vanno tutelati in modo diverso?
L’articolo 32, che sancisce il diritto alla salute, lo dichiara fondamentale, ed è l’unico diritto che la Costituzione dichiara fondamentale. È dunque evidente che primum vivere, però i diritti costituzionali si pongono in linea orizzontale, mai verticale. Non c’è e non ci può essere una gerarchia perché altrimenti giungeremmo alla tirannia di un valore sugli altri. La fatica della politica, e poi del giudice costituzionale, che deve scrutinare le scelte della politica, è quella di bilanciare questi diritti. Dipende dalle situazioni. Un caso emblematico è quello dell’Ilva: diritto al lavoro contro diritto alla salute. La Corte costituzionale, in una sentenza che venne scritta dal professor Silvestri prima che divenisse presidente della Consulta, cercò di bilanciarli.
Sarà compito di questo governo cercare di bilanciare il diritto alla crescita economica con quello alla salute?
Bisogna assicurare degli onesti compromessi nella vita come nel diritto. Kelsen diceva che la democrazia è compromesso, e il Parlamento è il luogo in cui si scrivono i compromessi. Ma per farlo occorrerebbe una capacità di ascolto. In Parlamento invece spesso tutti parlano e nessuno ascolta.