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Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta

E’ questa, a mio avviso, la miglior sintesi dei discorsi programmatici di Mario Draghi in Parlamento. Una sintesi che dimostra (noi ne eravamo convinti già prima) che l’uomo non è il freddo banchiere tutto denaro e finanza rappresentato dalle destre sovraniste e dai populisti in questi anni, ma uno che ha una visione che è figlia delle migliori intuizioni che la politica italiana ed europea hanno saputo offrire dalla fine della guerra ad oggi: la scelta di libertà e di democrazia, un sistema di difesa condiviso tra le due sponde dell’Atlantico, la costruzione della casa comune europea, l’impegno assoluto per la legalità, uno sviluppo economico attento alla persona e alle esigenze di giustizia sociale che l’economia sociale di mercato ha istituzionalizzato nelle regole che presiedono all’UE. A ciò vanno aggiunte le sfide di questo tempo: la sostenibilità ambientale e la rivoluzione digitale.

Come sono lontani (per fortuna!) i tempi in cui Beppe Grillo e il M5S paragonavano Draghi a Dracula e invocavano un processo contro l’ex Presidente della BCE per il crac del Monte dei Paschi di Siena, come se fosse stata colpa di Draghi e della BCE la cattiva gestione di quella Banca. E come sono distanti le sparate del “capitano” della Lega costretto alla fine ad ammettere che comunque il tema di un’eventuale superamento dell’euro “non è attuale”, e che può solo più rispondere con le battute all’irreversibilità del processo di integrazione europeo e della moneta unica puntualmente richiamati dal neo presidente del Consiglio presentati come “condizione” di esistenza del Governo.

Un altro mondo rispetto al suo predecessore che, senza che nessuno si scandalizzasse, non faceva distinzioni tra Trump e Biden, tra UE e Russia, tra USA e Cina, secondo il vecchio detto “O Francia o Spagna basta che se magna…” che, ahinoi, appartiene al DNA di un’ Italietta mai definitivamente archiviata.

Nei suoi interventi asciutti, lucidi, pacati, senza nessuna indulgenza alla retorica, Draghi ha cercato di ridare dignità e orgoglio all’Italia migliore, con uno stile che mi hanno ricordato due persone su tutte: De Gasperi e Ciampi. Stesso rigore, stessa severità, identico calore umano. Stesso eloquio poco incline all’altrui compiacenza.

Certo, dai discorsi di Draghi in Parlamento non è uscito un programma dettagliato. A mio avviso c’è stato anche qualche eccesso di ottimismo rispetto al contesto e al tempo a disposizione (la legislatura finisce tra due anni nella migliore delle ipotesi), ad esempio sulla riforma fiscale e della pubblica amministrazione, ma i titoli sono serviti a definire la cornice. Estremamente significativi l’accenno alla possibilità di allungare orario e calendario scolastico, all’esigenza di uno Stato meno pervasivo (ce l’aveva con i miliardi buttati in ILVA e ALITALIA?), alla produzione di energia da fonti rinnovabili e alla reti di comunicazione 5G.

Appare chiaro l’orizzonte in cui ci si muove, vale a dire quello di una crescita sostenibile, che utilizza al meglio le nuove tecnologie per un’evoluzione “green” del nostro apparato produttivo, ma senza indulgere in assistenzialismi (“il governo dovrà proteggere tutti i lavoratori ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche”) che metterebbero a rischio l’intero sistema produttivo. E’ questo l’orizzonte a cui deve guardare il programma nazionale di ripresa e resilienza finanziato con i fondi europei del Next Generation Eu.

Fin qui Draghi e il suo programma. Non stupisca il suo atteggiamento rispettoso verso la politica. La piccola bugia con cui ha gratificato gli astanti dicendo che la politica non esce sconfitta dall’incarico a lui affidato è, appunto, una piccola bugia che però fa capire chi è Mario Draghi. Draghi era ed è un “civil servant” e, quindi, ha ben presente che, nonostante i corti-circuiti che la mandano in crisi, è la politica che indica i percorsi e che, in fin dei conti, dai partiti, quali intermediari tra il popolo e le Istituzioni democratiche, non si può prescindere.

In questo Draghi, da buon romano, ancorché “nordizzato”, è molto meno tecnico di Monti o di Dini. E infatti, con un Gabinetto che in alcuni casi lascia molto a desiderare, ha compiuto una scelta che gli consente di tenere legate le principali forze politiche, per quanto attraversate da malumori, evitando i rischi del Governo meramente “amico” che, ad esempio, dopo pochi mesi fece fallire il primo Governo del Presidente (quello da Giuseppe Pella) e non consentì a Mario Monti di portare a compimento quella fase due che assomigliava molto al progetto presentato da Draghi.

Questa sua consapevolezza secondo cui la politica non può essere espulsa dal processo democratico, riducendo il Parlamento di oggi a una conventicola di notabili come quello dello Stato post unitario in decadenza che spalancò le porte al fascismo, è ciò che rende maggiormente convincente questa operazione, per certi aspetti necessaria e per altri obbligata. Se fosse possibile sognare sarebbe auspicabile che mentre il Governo governa le emergenze che abbiamo di fronte e getta le basi per i cambiamenti citati, le forze politiche si dedicassero a riformare lo Stato.

Recuperare lo “spirito repubblicano” invocato da Draghi comporterebbe il dover riprendere in mano la riforma della Costituzione. Così come l’Unione Europea non riuscirà ad adempiere fino in fondo ai suoi doveri sino a quando il modello intergovernativo coesisterà con quello comunitario, aggravando il processo decisionale di una complessità che contraddice con la necessità di affrontare con tempestività le sfide globali, così l’Italia non uscirà dalle sue difficoltà se non si incide profondamente sul suo sistema istituzionale. Rapporto Stato-Regioni, Parlamento-Governo, sistema elettorale, definizione del sistema giudiziario (“ordine” o “potere”?) sono nodi da cui dipende la capacità di un sistema di governare il continuo cambiamento che lega il presente al futuro, l’oggi al domani.

Ma si è mai visto un potere costituito (il Parlamento di oggi) che diventa potere costituente (il costruttore dell’edificio della Repubblica di domani)? Per ora nessuno ci è riuscito, ma ciò non toglie che anche questo sia assolutamente urgente.

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