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Il caso Open Arms, Salvini e la ricerca del consenso

Chissà se il bombardamento del pollaio friulano è stato frutto di una troppo attenta immedesimazione patriottica di un carrista. In un continuo discendere della linea politica, che dai vertici corre verso gli uffici e gli esecutori, potrebbe capitare che qualcuno si lasci prendere la mano dalla difesa dei confini.

Il tempo rapido della politica italiana è segnato periodicamente da slogan, frasi e termini che nelle intenzioni dei protagonisti dovrebbero garantire un consenso elettorale. La pandemia ha agito anche su questo, forse una delle poche cose buone. Dilatando i tempi del rinnovo di consigli regionali e comunali, ha alleggerito la comunicazione politica e declassato personaggi e dichiarazioni a sottofondo – spesso spiacevole – dei problemi della quotidianità.

In occasione dell’udienza del 20 marzo, la Procura della Repubblica di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di Matteo Salvini, ritenendo fondate e sostenibili in giudizio le accuse di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio.

L’udienza decisiva sarà il 17 aprile e fino ad allora non sapremo se la visione salviniana del potere – rendere il decisore politico esente da responsabilità – è sufficiente a sfuggire alla verifica delle proprie azioni in sede giudiziaria. Ma già l’ammissione di ventuno costituzioni di parte civile, segna la dimensione del caso: responsabilità politiche e penali sulle quali fare luce, contrapposte idee di comunità e senso dell’impegno politico che si confrontano.

Salvini ha rivendicato per l’ennesima volta la difesa dei confini nazionali. Condita con il continuo tentativo di spalmare la responsabilità su più soggetti e terminata con il vittimismo dell’essere “imputato mentre il capitano non è andato in Spagna e ha rifiutato i porti”, fa emergere la misura del personaggio (che probabilmente ignora dove sia Algeciras e cosa avrebbe significato, per i migranti sulla Open Arms, un viaggio fino alle colonne d’Ercole).

Nell’inseguimento del consenso che sempre premia la demagogia xenofoba, proponendo, di volta in volta, stranieri nuovi di cui avere paura, Salvini interpreta bene la tradizione leghista degli ultimi trent’anni.

Ma nella corsa al voto ha molti contendenti, sia quelli interni al suo partito, sia quelli esterni. Distribuiti, questi ultimi, sia nel campo del centrodestra, sia in quello del centrosinistra, con al centro della scena politica un nuovo protagonista: Enrico Letta. Già dalle prime uscite, il segretario del Pd ha scelto Salvini quale avversario principale, scommettendo su un Italia diversa.

Sarà un possibile effetto della pandemia fermare la catena di odio per lo straniero di turno? Potrà emergere, con l’uscita dalla crisi sanitaria, un’idea di comunità diversa, non egoistica, sull’esempio dei medici, degli infermieri e del mondo del terzo settore, che hanno affrontato la più grande crisi sociale ed economica dai tempi della seconda guerra mondiale? Chi vincerà la sfida tra Salvini, che cerca di scaricare la propria responsabilità sugli altri, e gli italiani, che da oltre un anno condividono le proprie?

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