Conosce qualcuno che oggi non si proclami ambientalista? Sembra ormai di essere di fronte a una battaglia vinta.
Sì, l’ambientalismo ha vinto. Draghi secondo Grillo è ambientalista, lo è la presidente della Commissione europea, lo è il Parlamento europeo, lo è il Recovery. Venti o trent’anni fa gli ambientalisti erano quelli che tiravano per la giacchetta gli altri per convincerli dell’esistenza stessa di un problema ambientale. Oggi non è più così, oggi tutti abbiamo sposato la causa ambientalista. Quindi, in un qualche modo, definirsi ambientalisti ha poco senso. È come definirsi cristiani in Italia: in un certo senso lo siamo tutti. Le differenze iniziano quando si pongono alcune domande sulle modalità di trasformazione dell’ideale ambientalista in politiche concrete ed efficaci. Qui le idee divergono.
In che modo?
C’è ad esempio una questione filosofica molto importante. Ci siamo costruiti un’idea completamente sbagliata della natura: l’abbiamo deificata e indicata come maestra di vita. La natura è invece indifferente ai destini dell’uomo. Non è il giardino donato da Dio agli uomini, che gli uomini rovinano. La Terra ha una storia di quattro miliardi di anni e mezzo alle spalle. È stata calda, fredda, inospitale, ha subito catastrofi enormi. Ci sono state tre-quattro estinzioni che hanno portato alla scomparsa di specie viventi fino al 95 per cento di quelle esistenti.
Compresi i dinosauri.
Fortunatamente un meteorite di gigantesche proporzioni, circa cinquanta milioni di anni fa, ha colpito la Terra portando all’estinzione dei dinosauri, presenti i quali probabilmente non ci saremmo noi. D’altro canto, quella parte infinitamente piccola della natura, cui appartengono batteri e virus, è proprio quella che ci ha messo di fronte a questa catastrofe sanitaria. Ci faccia caso: non esiste un movimento a favore dei virus, ma anch’essi fanno parte della natura.
Nasce così l’idea della decrescita felice?
La storia umana non è che una lotta millenaria di emancipazione dai limiti che la natura ci pone. Abbiamo conservato il fuoco per combattere il freddo, inventato i trasporti per superare i nostri limiti di movimento e i medicinali per combattere le malattie. Noi cerchiamo continuamente di superare i limiti che la natura ci pone. Da questa idea sbagliata di natura ne discende un’altra, egualmente sbagliata, quella cioè della decrescita felice: il suggerimento di impoverirci tutti per vivere all’interno di un equilibrio ecologico dato.
Così sembrerebbe che l’uomo non abbia poi fatto così tanti danni all’equilibrio ecologico.
In realtà il grande nemico dell’ambiente è la povertà. Lo diceva già nel 1972 Indira Gandhi. Se dividiamo la storia dell’umanità in larghissimi periodi, ne troviamo uno molto molto lungo, fino alla rivoluzione industriale, in cui i nostri progenitori, al contrario di quel che si dice, sono stati distruttori di enormi risorse ambientali. Hanno deforestato quasi tutta l’Europa. La Pianura padana era una grandissima foresta. Hanno cacciato fino all’estinzione tantissimi mammiferi e bruciato milioni di ettari per renderli coltivabili. Questo accadeva perché la produttività delle tecnologie e del lavoro era bassissima.
E quando ce ne siamo accorti?
A partire dalla Rivoluzione industriale, quando invece inizia un percorso di disaccoppiamento. La popolazione ha cominciato a crescere consumando tuttavia meno risorse ambientali di quante ne avessero consumate le generazioni precedenti. Questo processo continua ancora oggi perché l’innovazione tecnologia ce lo permette. Nell’innovazione tecnologica rientra anche l’uso di combustibili fossili che hanno prodotto un salto energetico gigantesco causando però un altro problema che oggi definiamo effetto serra. Ma non dobbiamo dimenticare di aver compiuto questo viaggio verso un mondo che ha bisogno di minore risorse materiali.
Ci faccia degli esempi.
Ne faccio due. Il primo è l’agricoltura. Oggi siamo in sette e miliardi e mezzo ma coltiviamo la stessa quantità di terreni che coltivavamo nell’immediato dopoguerra quando eravamo poco più di due miliardi. Com’è stato possibile tutto questo? Perché in agricoltura abbiamo introdotto energia sotto forma di motori, di macchine, di fertilizzanti e antiparassitari. Il disaccoppiamento è la strada maestra da perseguire per garantire insieme tutela dell’ambiente e un relativo benessere.
Resta il fatto che l’uomo producendo inquina, e così facendo finisce col danneggiare l’ambiente stesso in cui vive.
Ancora una volta il nemico è la povertà. Mentre i paesi ricchi sono entrati in una fase di stabilità, addirittura di riduzione della emanazione C02, i paesi che sono ancora in transizione come Cina, India e Indonesia, sono al contrario diventati grandi inquinatori. Questo accade proprio perché tali paesi stanno entrando in quella fase che l’Occidente ha vissuto per lo più nel ventesimo secolo. Chi ricorda come fossero certe nostre città durante la ricostruzione post-bellica può testimoniare di un tasso d’inquinamento enormemente maggiore rispetto a quello attuale. Per alcune città qualcuno parla di un inquinamento oggi ridotto del 90% rispetto a quella fase.
Lo sviluppo quindi è dalla nostra parte?
Stiamo viaggiando sempre più velocemente verso una società della conoscenza, che farà dell’organizzazione e dell’informazione le risorse principali anziché l’energia e le materie prime. Basta guardare al campo dell’energia, e a tutto quanto riguarda le rinnovabili e l’idrogeno, per esempio, e al campo dell’agricoltura. In questo bisognerà in particolare sdoganare l’impiego di quelli che erroneamente ancora si definiscono OGM ma che in realtà sono il prodotto di interventi genetici a carattere chirurgico e non invasivo. Egualmente, nuovi materiali come il grafene promettono di costare meno, di risultare diverse volte più resistenti dell’acciaio e di essere più leggeri e quindi permetterci di risparmiare enormi quantità di energia.
Su questa prospettiva si può pensare ad una convergenza fra portatori di interessi diversi o anche questa è una prospettiva controversa?
Contro tutto questo si battono in molti. Il conservatorismo è presente da tutte le parti. Ma penso che il principale nemico sia quello che io chiamo l’ambientalista collettivo, ossia quell’insieme di credenze, opinioni, luoghi comuni, che pensa di favorire l’ambiente ma in realtà lavora attivamente per impedire che qualsiasi cambiamento ci sia. Faccio un esempio provocatorio: la campagna plastic free, che letteralmente significa liberi dalla plastica. La plastica, nella storia dell’umanità, ha costituito un enorme salto di qualità in meglio.
Ma oggi sembra invadere ogni angolo della terra.
Sa con che cosa era fatta la maggior parte degli oggetti che facevamo prima della plastica? O di avorio, attraverso l’uccisione di svariate decine migliaia di elefanti all’anno, o di tartaruga, attraverso l’uccisione di svariate decine di migliaia di tartarughe l’anno. La plastica è un materiale a basso costo che ci permette di sostituire tutto questo. Plastic free è quindi uno slogan senza senso. Se vogliamo liberarci di quattro stupidaggini usa e getta va benissimo, ma le fibre plastiche hanno una funzione fondamentale.
Un altro esempio?
Altra manifestazione di questo ambientalista collettivo è il “comitatismo del no” che ormai ha invaso l’Italia in ogni suo angolo. Una delle conseguenze negative di questa cultura ambientalista mal poggiante e male interpretata è uno dei motivi dell’imponente ritorno dello statalismo nel nostro Paese, perché si ritiene che per fare la transizione ecologica ci vuole un super-governo che ci porta per mano verso il futuro.
Almeno un super ministero?
La stessa idea del super-ministero che guidi la transizione ecologica è una cosa molto pericolosa perché prefigura un gigantesco spreco di risorse pubbliche. Spreco che in parte si è già realizzato, perché noi paghiamo circa sedici miliardi di incentivi l’anno per fonti rinnovabili il cui costo nel frattempo è diminuito dell’80%.
Incentivi pubblici sprecati?
Tanto poco fiduciosi siamo nell’innovazione che abbiamo fossilizzato la situazione e pagato per una tecnologia che in pochi anni ha drasticamente ridotto i costi. Così ci troviamo con un apparato tecnologico invecchiato e un debito enorme da smaltire. In totale sono due o trecento miliardi di incentivi finiti in prevalenza a fondi finanziari esteri. Pensi invece ad un’azienda come Tesla. Non è venuta dall’intervento statale ma dall’inventiva a dall’impresa privata. Bisogna certo fissare delle regole, ma non perdere soldi e tempo in maniera sconsiderata. Questo tipo di ambientalismo è molto diffuso in Italia.
Come fare?
C’è anche una grande catena di distribuzione, le Coop, che nelle sue pubblicità dichiara i propri prodotti “OGM free”. Ora, chiunque abbia una minima concezione di che cosa sia un OGM, che non è una sostanza chimica, sa che questa è un’affermazione senza fondamento, che non vuol dire nulla. Dopodiché i nostri maiali e le nostre vacche, che fanno i nostri prosciutti e il nostro Parmigiano, sono nutriti con mangimi a base prevalentemente di soia, e l’80% della soia del mondo è OGM.
Sarebbe come dire che la vigna che utilizziamo in Italia, nata dall’innesto delle vigne tradizionali sulle viti americane perché la Filossera aveva distrutto quasi tutte le viti europee, è un OGM perché non esisteva prima in natura. Fregnacce di questo genere ne abbiamo moltissime. Il mio timore è il pensiero unico che spinge verso ulteriori fregnacce.
Tipo?
È così che abbiamo finanziato i monopattini, le bici elettriche, le macchinette per rendere frizzante l’acqua potabile in nome dell’ecologia, così la gente beve l’acqua potabile anziché l’acqua minerale. Ora, il Ministero per la transizione ecologica è un controsenso perché la transizione ecologica si fa in tutti i rami della nostra esistenza. Si fa nel grande mondo dell’energia, nell’agricoltura, nel sistema dei trasporti, nell’edilizia civile, per cui affidare tutto ad un solo ministero non ha senso.
Lei ricorda spesso una frase che Obama ha rivolto ai giovani: accadono ogni giorno cose terribili, ma il mondo non è mai stato più nutrito, salubre e meno violento di oggi. Un mondo pieno di opportunità.
L’umanità ha delle risorse straordinarie. Il cervello umano, innanzi tutto. Io sono stupefatto dalle trasformazioni che sono avvenute in meglio negli ultimi trent’anni. Dobbiamo avere il coraggio di mettere al centro l’uomo, perché ogni giudizio di valore è basato sul fatto che esiste l’umanità. Non esiste una verità o un valore al di fuori del giudizio che noi diamo. Quindi, quando noi parliamo di equilibrio ecologico dobbiamo parlare di un equilibrio che consenta all’umanità di vivere tranquillamente in pace.
Anche quando il pianeta era abitato dai dinosauri c’era un equilibrio ecologico?
C’era quello specifico equilibrio ecologico. Noi oggi vogliamo un altro equilibrio ecologico, che è quello che ci ha consentito negli ultimi diecimila anni di prosperare. Certo che quell’equilibrio dipende anche da noi, perché ormai siamo diventati una specie molto potente, ma per quanto potente non siamo immortali come la vicenda del Covid-19 dimostra.
A proposito di virus. Che funzione hanno?
Quella di selezionare le specie. Sono piccolissimi ed esistono da tempo immemore prima della comparsa degli esseri umani. Se volete, i virus hanno una funzione ecologica ma è una funzione che noi respingiamo. Noi non accettiamo di essere selezionati da un virus secondo un criterio di forza che metterebbe fuori gioco anziani, deboli, lasciando in piedi solo la parte sana della popolazione. La conquista della civiltà è in questo, nell’essere contro natura.
Laura Conti, che fu una studiosa molto importante di questioni ambientali, mi disse in un periodo in cui negli Stati Uniti erano molto in auge le teorie creazioniste: “Vedi, Chicco, la destra pensa che il mondo è stato creato da Dio e respinge l’evoluzionismo darwiniano, e poi accetta la sopravvivenza del più forte rispetto al più debole come dottrina sociale. La sinistra fa invece esattamente il contrario: pensa che Darwin abbia avuto ragione ma non accetta il darwinismo sociale”.
Lei cosa pensa?
Io sono convinto che la politica, come tutte le grandi cose, nasce dalle idee, e se hai un’idea sbagliata vai in una direzione sbagliata. Devi allora resettare le tue idee e convertirle nella direzione giusta. Sotto questo profilo sono ottimista, perché la causa ambientale è ormai stata sposata perfino dalla finanza, ma dobbiamo spingere verso ulteriore innovazione, spinta che gli italiani sembra abbiano perso, spero in modo non irrevocabile.
Abbiamo finalmente il PNRR. Il 37% delle risorse sarà destinato alla transizione. Basterà?
Come ho detto mille volte i quattrini sono importanti, ma nei campi della transizione, dell’energia e dei riiuti non mancano le risorse finanziarie: ci sono centinaia di imprese private e pubbliche pronte ad investire perché sono settori che consentono interessanti remunerazioni del capitale investito. Quindi non c’è carenza di risorse finanziarie.
Cosa non dobbiamo sbagliare?
Il vero punto, come anche il ministro Cingolani ripete continuamente, è riuscire a realizzare le riforme di sistema che ci consentono di scaricare a terra quegli investimenti. Non potrà dunque esserci una vera rivoluzione verde senza la certezza del diritto, senza un affievolimento dei comitati NIMBY, senza un principio di autorità. Ecco perché tutto dipenderà dalla nostra capacità di autoriformarci e di eliminare quelle complicazioni in cui noi italiani siamo specialisti.
Oggi è la giornata mondiale dell’ambiente. Una scadenza importante o retorica?
È una scadenza importante. Temo però che sarà anche un’occasione per spolverare altra retorica o fare del “green-washing”, con tutti che si travestono da ambientalisti mentre non si riesce a spiegare fino in fondo la dimensione della transizione ecologica, con tutti gli aspetti che la accompagnano. Sarà una rivoluzione un po’ come lo è stata quella informatica. Una rivoluzione che ha portato benessere causando però anche grandi sconvolgimenti: ha portato disoccupazione e sconvolto modi di vivere.
Non sarà facile insomma.
Non è un prato fiorito quello che si apre davanti a noi. Cambiare il modello di consumi energetici che abbiamo avuto per quasi quattro secoli, dal ‘700 ad oggi, sarà un’opera eroica ma che lascerà sul campo tanti morti e feriti.