Il gesto popolare è cosa ben diversa da quello disciplinato e borghese. Luca Vullo, che di esso ha fatto una teoria, un’arte e uno spettacolo longevo, ci insegna tutta la ricchezza e la complessità del linguaggio fisico tra le genti siciliane, che è poi, con le sue infinite varianti, quello dei popoli di tutto il pianeta.
Nei giorni scorsi ho visto una donna cantare: una signora estremamente contenuta nel parlare e composta in ogni suo fare, con l’eleganza naturale che comunemente associamo a certe persone senza che nemmeno parlino, solo vedendole passare per strada.
Eravamo assieme in un consesso goliardico quando, a una data canzone velatamente allusiva, come sono la più parte dei versi siciliani, ha incominciato a muoversi con energia alterata e gesti che schernivano il marito alla chitarra.
Da dentro le braccia, come in punta di coltello, le scorreva via la vita e avevi l’impressione che ti stesse raccontato tutto di lei e della sua esistenza con la sola forza dei gesti, l’espressione accesa degli occhi, l’imperio inaspettato della voce.
Qualche anno prima, ricordo un episodio simile in una notte d’estate. La sera prima del matrimonio, portavamo una serenata nel più puro stile popolare (tengo alla precisazione per escludere dal genere la folla di immagini cartolinate, con la coppola e il gilet nero che costella, ahimè, la canzone siciliana ancora oggi).
Le due famiglie si contendevano – in un vasto consesso di amici, parenti e conoscenti – il vicolo con tavole imbandite e molto vino. Lasciando da parte la bellezza dell’atmosfera in quella notte feriale, ciò che mi colpì a sorpresa fu l’atteggiamento assunto dalle donne più anziane di entrambi i partiti familiari, che a un dato punto, dopo avere molto bevuto e molto cantato, iniziavano a strambottare tra loro mettendo in ridicolo i propri uomini con allusioni sessuali neanche troppo velate.
I due episodi sono legati da un filo comune ampiamente studiato dall’antropologia del Novecento. Chiunque abbia fatto esami sui libri di Ernesto De Martino o Alfonso Di Nola conosce bene l’archetipo, la forza non disciplinabile delle donne, soprattutto quando sono adulte e sfuggono ormai al controllo sessuale imposto loro dal gruppo familiare e sociale, fuori dal recinto della fertilità e dai rischi connessi.
L’immagine che mi restituiscono e che voglio condividere con voi lettrici e lettori, rievoca una possibilità che resiste ancora, a dispetto del tempo. Un’immagine muliebre che forse non basterebbe da sola a salvare il mondo, ma di certo lo piegherebbe lasciandoci di stucco, se solo potesse.