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Carceri: gli errori dei leader non adulti

Poniamo che sia un accanito tifoso di calcio. Ho io il diritto di mentire a me stesso e all’intero universo creato gridando “rigore!!!!” quando il centravanti abbia palesemente simulato, e per di più a metà campo? Sì, si chiama tifo. Ho il diritto di accollare alla virtù delle mogli dell’intera terna arbitrale una sconfitta che non riesco a digerire? Certamente, è tifo. So benissimo, e così chi mi ascolta, che è un gioco delle parti, in fondo non ci credo davvero, ma questo è il tifo: si sta a priori dalla parte della squadra del cuore.

A priori significa senza badare alla ragione o al torto, che pure da qualche parte devono stare: si indossano magliette e si agitano bandiere per condividere un’identità, per dire “noi siamo meglio di loro”. Perché noi siamo noi, loro sono loro, e nel tifo non si va per il sottile. Non conta altro. È legittimo, è l’infanzia che si prende una breve rivincita sull’età adulta.

Ma le vicende degli adulti non possono essere ridotte a quelle dell’asilo Mariuccia. Gli adulti non possono fare il tifo su ispezioni anali condotte con un manganello. Quelle sono cose per cui un adeguato grado di serietà è essenziale per essere ammessi al tavolo dei grandi a prender parola. Sono vicende dove il tifo non è soltanto inappropriato bensì indecoroso, perfino orrido.

Ne segue che un rappresentante della Repubblica non può dire di stare a priori, ossia senza riguardo a torti e ragioni, dalla parte della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere, qualunque cosa abbiano fatto, sol perché costoro indossano una divisa. Una divisa non è la maglietta della Longobarda F.C..

Un adulto rappresentante della Repubblica italiana anzitutto si vergogna per le immagini che ha visto; poi doverosamente si richiama alla presunzione di non colpevolezza e attende la sentenza tacendo. Un adulto rappresentante della Repubblica, magari un leader di partito, mentre tace su quel versante si interroga invece a fondo su quanto le condizioni delle nostre carceri raccontino del nostro livello di civiltà, di che cosa noi tutti pensiamo del nostro prossimo e di quale grado di umanità ci definisce come società.

Questo ci si aspetta da un adulto, da un rappresentante della Repubblica, da un leader politico. In democrazia, però, un rappresentante della Repubblica, un leader addirittura, è talmente libero nello svolgimento del proprio mandato, talmente svincolato da ogni tipo di freno, da potere ignorare e perfino farsi beffe di ogni garbo istituzionale e di ogni elemento di minima umanità. Così può mettersi a tifare, e provare a persuadere gli spalti a distinguersi a loro volta tra tifoserie senza distinzioni tra chi con onore indossa la divisa e chi non ne è degno.

Può così, quel rappresentante, scambiare onorate divise per magliette colorate e numerate, finendo con l’infangare le une e le altre. È uno dei costi della democrazia e come tale va accettato. In cambio ci sia però consentito di intravedere nella sagoma di costui, in quel leader non adulto, le fattezze deformate di Oronzo Canà, glorioso allenatore di quella Longobarda, e come tale prenderlo.

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