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Mario Sechi: siamo di nuovo all’uomo della salvezza. Fortunatamente abbiamo Mario Draghi

In un tweet lei ha scritto: “Maggioranza silenziosa e minoranza rumorosa. Il trionfo del Pd, la disfatta della destra. Vincenti e sconfitti. Che succede ora?” Appunto: che succede ora?
Succede che lo scenario politico si sta muovendo in maniera molto accelerata. Innanzitutto c’è il calendario istituzionale che comanda: quindi la discussione sulla legge di bilancio, con approvazione entro fine anno previo via libera europeo, e naturalmente grande sforzo dei partiti per spuntare qualche cosa di bandiera. Poi ci sarà l’implementazione del Recovery Plan, poi il panettone, buon Natale, brindisi di capodanno e si riparte. Arriva la befana e d’improvviso a febbraio ci si trova a fare i conti con l’elezione del Presidente della Repubblica.

Pero?
Siccome non siamo soli al mondo succedono cose anche fuori dai nostri confini, cose che ci riguardano. Da Berlino dicono che verso la fine dell’anno ci sarà il nuovo governo tedesco e in Francia accelererà contemporaneamente il quadro per le presidenziali del 2022, dove c’è Macron che è al tempo stesso un partner e un competitor di Draghi in Europa.

In febbraio da noi che succede?
Si deciderà lo snodo della legislatura, e cioè se Draghi andrà al Quirinale o resterà a Palazzo Chigi. Nel caso in cui andasse al Quirinale potrebbe anche esserci un patto di legislatura su un premier di transizione fino al 2023, scadenza naturale della legislatura dopo la quale si va a votare per un nuovo Parlamento. Aggiungo che questa visione sarebbe rafforzata dal fatto che un Presidente che sciolga il Parlamento che lo ha appena eletto striderebbe un po’ sotto il profilo istituzionale.

Se si va avanti non è più probabile allora che Draghi resti al suo posto?
È una possibilità molto grande, ma non si può escludere che vada al Quirinale, essendo la presidenza una carica asimmetrica, della durata di sette anni, accompagnata da vantaggi importanti, perché anche in quella posizione, sebbene con forza minore, può rassicurare i mercati e mantenere relazioni transatlantiche ed europee. Il vero punto è che Draghi è diventato in poco tempo il perno del sistema e che l’elemento lampante dopo i ballottaggi è che la destra ha fatto splash, la sinistra ha vinto, ma le elezioni politiche sono un altro film.

Di queste elezioni amministrative si è detto che protagonista sia stata l’astensione.
Il fenomeno si inscrive in una tendenza occidentale, quindi niente di nuovo sotto un certo punto di vista. Per l’Italia sicuramente è un segnale preoccupante, perché quelli sono quasi tutti voti populisti, quelli che di volta in volta vanno in immersione e poi riemergono. Non hanno votato a destra e non hanno votato per i Cinque stelle. Hanno votato poco per la sinistra e sono lì, in attesa di un nuovo pifferaio o di un uomo nuovo che si presenti alle urne e li convinca ad andare a votare. Per il momento aspettano.

Chi sono?
Tra loro ci sono molti disillusi che comprendono la politica, ma molti altri sono elettori di carattere volubile. Anche giustamente, nel senso che cambiano facilmente opinione, inseguono l’idea del momento, portano su delle meteore come il M5S e poi le affondano. Quel che è successo a Roma è abbastanza evidente.

Perché il centrodestra ha sbagliato tutti i candidati?
Ha perso in una maniera rovinosa. Ha sbagliato per posizionamento politico. Siamo di fronte ad un buffo paradosso, quello per cui due partiti che bene o male fanno il 40% dell’elettorato, di fronte ad oltre l’82% di popolazione over dodici anni vaccinata, si mettono con una minoranza di pochissime persone. Dal punto di vista politico è un suicidio, dal punto di vista logico-mentale è preoccupante, anche qualcosa di più, perché non trova riscontro: nessun politico insegue una minoranza rumorosa che non ha voti.

Una ragione ci sarà.
Hanno fatto harakiri e non si capisce perché se non per una lotta interna e per il fatto che evidentemente stanno molto sui social e non vedono più la realtà o almeno non l’hanno vista in questo frangente. Non è solo questione di avere sbagliato i candidati, soprattutto a Roma, con responsabilità qui preponderante della Meloni, ma c’è di più: si tratta di non aver saputo leggere la contemporaneità. Devo essere sincero: ho qualche dubbio che sappiano leggerla anche per il prossimo futuro, perché continuano a battere su questo ferro.

Enrico Letta sta facendo un gran lavoro di riorganizzazione, e soprattutto adesso il centrosinistra ha un leader, un candidato alla presidenza del Consiglio.
Letta ha avuto ragione. In politica conta quando vinci. E naturalmente anche quando perdi. Il risultato di mezzo non conta nulla. Letta ha vinto, ha corso per le suppletive a Siena, dove non era così facile, e ha vinto. Ha mostrato coraggio, al contrario di Conte che ha evitato accuratamente di andare a candidarsi a Primavalle perché avrebbe perso, e non ha quindi il tocco magico che racconta, anzi. Poi Letta ha adottato una saggia tecnica del sommergibile.

Cioè?
Ogni tanto saliva a quota periscopica per controllare che cosa facesse la destra, e quel che faceva era il peggio possibile, quindi si inabissava nuovamente facendo una politica rassicurante. Sulla scia di Draghi, finalmente, dopo un periodo di sbandamento del Pd che s’era messo in testa che Draghi non andasse bene, non si sa per quale arcano motivo. In tutto questo Letta ha avuto ragione e sarà lui il candidato premier. Punto.

Ora si tratta di fare la coalizione.
Con la coalizione ha un problema, perché il partner è in caduta libera: Conte non ha nessun appeal altrimenti avrebbe già ottenuto un risultato, avrebbe già catalizzato un importante bagaglio di voti. Invece l’esempio di Napoli lo smentisce: in pieno territorio di reddito di cittadinanza i Cinque stelle non sono stati determinanti per la vittoria di Manfredi, dove il Pd avrebbe vinto da solo al primo turno comunque con gli altri alleati. La debolezza dei Cinque stelle è dunque un problema per Letta. Dopodiché dall’altra parte c’è un cumulo di macerie.

Al centro si è sempre parlato di una grande prateria che però nessuno riesce a conquistare. In Germania il Partito liberale ha preso l’11,5% e farà il governo insieme a Verdi e Socialisti.
La prospettiva è quella, 11-12%. Scelta Civica che cos’era? Era quel numero. Io penso che l’area dei liberali, dei centristi sia quella. A meno che, ma non è in agenda, ci sia un pezzo da novanta come Draghi. Ma siamo alla fantapolitica.

Il problema è che finora nessuno è riuscito a federare tutte queste piccole realtà. C’è riuscito Monti e adesso non si vede chi possa farlo.
Nessuno di questi, perché sono troppi galli in un pollaio. Ci vorrebbe uno sforzo molto grande. C’è Calenda che si è mosso bene, è bravo, ma ha un suo ego. Ha la forza anche di fare un passo indietro? Qui non è questione di fare due passi avanti. Lui li ha fatti e li ha fatti bene ma ha la capacità di tornare un po’ indietro, di lasciare un po’ di spazio agli altri? Poi c’è Renzi, che è abilissimo. Voti pochi, ma quelli che ha li usa come se fossero quelli di una maggioranza. E poi ci sono tutti gli altri, grandi o piccoli, ma metterli insieme è molto difficile

Potrebbe farlo Letta?
Potrebbe perché guida un partito medio che ha bisogno di federare. Lo potrà fare in una prospettiva liberale? In una prospettiva riformista ha un problema coi cinque stelle. Allora che fai? Ti tieni i Cinque stelle e poi anche Calenda e Renzi? Impossibile. Poi non sappiamo che legge elettorale ci sarà.

Bella grana questa.
Il centrodestra ha appena rifiutato il proporzionale. Ma il proporzionale in questo – mi si passi il temine tecnico – casino, è la scelta più naturale. Siamo di fronte allo sfarinamento del quadro politico e non penso si arriverà con queste coalizioni al 2023. Succederà molto probabilmente qualcos’altro. È tutto in sviluppo, ma si intravedono alcune linee. I gruppi parlamentari non coincidono già più da tempo alle coalizioni.

Ci sono anche gruppi parlamentari che non corrispondono alla guida dei partiti.
Se è per quello ci sono gruppi parlamentari che non corrispondono nemmeno alla politica.

Prima o poi si andrà al rinnovo di questo Parlamento, e con numeri radicalmente diversi per via dell’esito del referendum sulla riduzione dei parlamentari. Che cosa c’è da aspettarsi?
Io ho un grande timore, che alle politiche venga fuori un risultato disastroso, senza nessun vincitore. Il Parlamento diverrebbe così iperbalcanizzato ma al tempo stesso ridotto, quindi con margini di manovra e aggiustamento inferiori. Quella che secondo molti era un difetto, cioè l’elevato numero di parlamentari, in un sistema caotico ad altissima entropia come quello italiano, funzionava. C’era il suk, per essere molto chiari, e questo compensava le difficoltà. Adesso, con meno parlamentari, sarà più difficile mettere a posto i “Lego” della politica. Temo una situazione in cui non si riesca più a trovare il bandolo della matassa. Ecco perché abbiamo bisogno di Draghi.

Ma a questo punto non sarebbe meglio tenero fuori dal Quirinale?
Se c’è Draghi al Quirinale, diventa il king maker del governo, se è fuori dal Quirinale diventa la soluzione per mettere insieme un governo. Quindi di diritto o di rovescio, Draghi rappresenta la soluzione. Questo dice però anche quanto siamo messi male, perché siamo di nuovo all’uomo della salvezza. In questo caso la figura è eccezionale e si ritrova in uno stato d’eccezione. Dobbiamo sperare nello stellone, in un colpo di fortuna per cui gli elettori vanno a votare per qualcuno e questo qualcuno governa. Chiunque sia, sono ampiamente agnostico su questo. Però ci vuole un segnale di chiarezza.

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