Il 26 gennaio arriva in libreria Nuvole sul grattacielo. Saggio sull’apocalisse estetica il nuovo libro del professor Giuseppe Frazzetto, critico e storico dell’arte, estetologo, esperto di nuovi media, edito per i tipi di Quodlibet. Chiara Tinnirello lo ha intervistato in anteprima e in esclusiva per ilcaffeonline.it
Il volume ha il grande pregio di avviare una riflessione filosofico-estetologica che coniuga arte, media, filosofia, realtà virtuale e vita quotidiana in una prospettiva unitaria. Oramai pochi libri ardiscono a tanto e Frazzetto riesce nell’impresa (invero già avviata nei suoi lavori precedenti) ideando anche un gergo peculiare che il lettore scoprirà e imparerà ad apprezzare per farsi strada nel territorio del nostro mondo attuale, altrove denominato postcontemporaneo dall’autore.
Ne viene fuori un libro specialistico, ma che parla a tutti raccontandoci le nostre manie, i nostri desideri, i nostri svaghi. Frazzetto ci presenta il nostro quotidiano con i suoi spazi fatti di presenze e di assenze, dice dei nostri gusti in fatto di arte e di tempo libero. Ognuno ritroverà qualcosa di se stesso e potrà ragionare sui propri modi di vita.
Il suo libro presuppone un’estetica, per così dire, espansa: non si parla solo d’arte, ma anche di parecchie forme di intrattenimento, nonché di comportamenti quotidiani…
Nel saggio prendo variamente in considerazione fenomeni come la gamification, la cerimonia del me/mondo, il nichilismo situazionale. Uno dei tentativi del saggio è fornire un quadro teorico di molte produzioni odierne (i videogiochi, la cosiddetta post-fotografia, i meme, gli NFT) nei loro rapporti con le elaborazioni “alte”, d’autore.
Può darci una definizione dell’apocalisse estetica che evoca nel sottotitolo del volume?
La nozione ha un certo numero di significati. Il più ovvio (ma forse il meno interessante) fa segno a un certo qual esaurirsi delle posizioni estetiche a noi familiari. Tale crisi caratterizza una fase di sconvolgimenti che da una ventina d’anni vado definendo “postcontemporanea”. Tutto viene estetizzato, e tutto implode in una sostanziale insignificanza, non soltanto estetica. La nozione di “apocalisse estetica” descrive inoltre un atteggiamento prevalente: la pretesa di esperienze in certo modo conclusive, totalizzanti sebbene effimere. Il paradosso è che tali esperienze vengono cercate come definitive e, allo stesso tempo, ci si aspetta una loro ripetizione in una continua frammentazione. In un passo del libro si dice che la regola di questo frammentarsi dell’esperienza estetica è «Facciamola finita. Ma poi facciamola finita ancora e ancora». Spero che lettrici e lettori possano poi scoprire le implicazioni ulteriori della nozione di “apocalisse estetica”.
Trattandosi di un lavoro marcatamente multidisciplinare, ci potrebbe dire in poche battute quali sono i riferimenti culturali che più hanno contribuito allo sviluppo della sua riflessione?
Multidisciplinare non significa eclettico, beninteso. Tento di proporre un punto di vista unitario, per quanto possibile, mettendo in rapporto elaborazioni estetiche, antropologiche, sociologiche. La grande tradizione del pensiero europeo da Warburg ad Agamben, da Benjamin a Jesi, da Simmel a Boltanski mi sembra proporre indicazioni inequivocabili. Ma mi permetta di ricordare i nomi di due amici oggi scomparsi, cioè Sgalambro e Barcellona, profondamente diversi ma accomunati dal rigore d’un pensiero fuori dagli schemi.
Il suo libro evoca figure mitologiche ed è mitopoietico esso stesso nella costellazione di figure che lo popolano (ed esplicitamente nella cornice che lo contorna, penso al prologo/pausa). Può raccontarci della star del corteo, il Singolo solo con le macchine?
In altri miei saggi mi sono concentrato sulle disavventure dell’utente-consumatore, il prosumer. Qui ovviamente ne discuto. Ma la figura principale è quella d’un essere umano occidentale, disintermediato, solo con le macchine, scaraventato in una dimensione vitale quasi insostenibile che ricorda quanto De Martino definiva “crisi della presenza”. Un’esperienza che sconta il ripetersi di ciò che Blumenberg attribuiva agli stadi iniziali dell’ominazione, ovvero il “permanente stare-in-attesa di cose fino a quel momento sconosciute”. L’esperienza specificamente apocalittica qui è quella d’una esasperata stanchezza rispetto a un mondo troppo pieno di segnali, tracce, sintomi. Il sospetto diviene la regola – il suo corollario alquanto disperato è la scommessa sull’affidabilità di interpretazioni disintermediate.
Può descriverci il Terzo stato estetico nel quale, se ho ben inteso, ci troviamo a vivere?
In sintesi, si tratta della situazione in cui ognuno è spinto a prodursi come soggettività estetica “fai da te”. Il Primo stato estetico è quello in cui alcune forme artistiche sono strettamente legate a un dato identitario collettivo (si pensi alle icone). Il Secondo stato estetico è quello a noi più familiare, là dove l’artista è delegato a produrre opere che propongono stili e interpretazioni del mondo e che sono soggette al giudizio di un “pubblico”. Quando pensiamo all’arte, di solito pensiamo appunto al Secondo stato. Invece, nel Terzo stato estetico non ci sono opere bensì comportamenti e immagini con cui “ci si mette in opera”, con uno specifico nichilismo situazionale individualistico. Un esempio evidente è la pratica dei selfie; ma quanto accade usualmente nei social network è una manifestazione del Terzo stato estetico.
Nel suo libro riesce a proporre in modo chiarissimo argomentazioni assai complesse. Vuole parlarci della struttura del testo?
Il libro è diviso in tre parti. La prima si concentra sulla rivisitazione della nozione di crisi della presenza e sul tentativo di riscattarla mediante quella che viene definita la cerimonia del me/mondo. Tale “cerimonia” si articola nel rapporto inedito con le immagini, nel loro configurarsi appunto come inesauribile catalogo del mondo (è l’argomento della seconda parte) e nello strutturarsi di narrazioni (argomento della terza parte) spesso destabilizzanti, in quanto frammentarie, non consequenziali, contraddistinte da inconsistenza dei caratteri e da finali multipli.
Giuseppe Frazzetto, Nuvole sul grattacielo. Saggio sull’apocalisse estetica, Quodlibet, Macerata 2022.
Giuseppe Frazzetto insegna Stile, storia dell’arte e del costume presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Ha insegnato Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli studi di Catania. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Molte vite in multiversi. Nuovi media e arte quotidiana (2010); Epico Caotico. Videogiochi e altre mitologie tecnologiche (2015); Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione (2017).