Potevano essere tanti i titoli di questo articolo. Sul web va molto “come un gatto in tangenziale”. Oggettivamente descrive bene la giornata del 28 gennaio 2022, durante la quale si sono svolte la quinta e la sesta chiama per l’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica.
Da quando l’iniziativa è passata nelle mani di Matteo Salvini, dopo la rinuncia di Silvio Berlusconi, è stato uno stillicidio di candidature – anche molto prestigiose – bruciate secondo modalità che poco hanno a che fare con la politica e pure con la logica.
Non analizziamo in questo momento la pretesa di arrogarsi il diritto a proporre un nome, scorrettamente rivendicato da una parte e altrettanto erroneamente concesso dall’altra. Non c’erano e non ci sono i numeri; non c’erano e non ci sono le condizioni.
Quello che è accaduto ieri, di gravissimo, è la facilità con cui i maggiori partiti e gruppi parlamentari con i loro leader, hanno bruciato due figure, di donne, che ricoprono funzioni di alta rappresentanza della Repubblica. Indipendentemente dai nomi, è stata grave l’irresponsabilità con la quale non si è pensato di dover proteggere la Presidente del Senato e la Direttrice dei Servizi segreti italiani.
Da parte nostra poca o nulla stima per Maria Elisabetta Alberti Casellati, per il modo in cui si è fatta conoscere negli ultimi anni, e altissimo apprezzamento per Elisabetta Belloni, che resta una riserva della Repubblica, per il ruolo che ricopre oggi in modo egregio e per quelli che in un futuro anche vicino potrà ricoprire con competenza e prestigio.
Ma non si fa. Innanzitutto non si espongono alla “macelleria mediatica” due funzioni così delicate per la Repubblica senza aver verificato prima la quasi certa possibilità di successo. E poi ha ragione Matteo Renzi: in un Paese democratico il capo dei servizi segreti in carica non deve essere chiamato a fare il Capo dello Stato. Si aziona altrimenti un corto circuito di natura istituzionale che fino ad oggi si è verificato soltanto in Russia e in Egitto.
Tutto questo non c’è scritto in nessun libro, neppure sulla Costituzione. Solo chi ha fatto le scuole della politica può capirlo, solo chi ha studiato Educazione Civica, solo chi ha ascoltato con attenzione i discorsi di De Gasperi o Aldo Moro, di Einaudi o don Luigi Sturzo, di Calamandrei o Malagodi, di Croce o Dossetti, di Ciampi o Mattarella può capirlo e può ripeterlo all’infinito. Perché si tratta di lezioni senza termine.
L’auspicio è che un presidente condiviso possa sostituire presto Mattarella. Sarebbe una forzatura, ai limiti della scorrettezza, chiedere all’attuale Presidente della Repubblica di restare ancora al Quirinale. Perché più volte ha detto di non volerlo fare, facendo capire di non voler imporre una consuetudine che la Costituzione non impedisce ma neppure incoraggia. Anche perché sarebbe inconsueto avere lo stesso uomo, nella stessa funzione, per 14 anni. Un tempo troppo lungo che i nostri Costituenti non hanno previsto per nessuna carica. D’altra parte non potrebbe essere chiesto a Mattarella un incarico a tempo, con vincolo di mandato.
Bene una donna ma non solo perché donna. Non perché deve essere la super notizia bomba capace di nascondere i fallimenti di molti partiti e di molti leader in questa prima parte della gestione del rinnovo della carica di Presidente della Repubblica. Bene una donna ma non sconquassando i principi fondamentali della nostra Democrazia. Bene una donna e speriamo che sia una donna, perché la Repubblica ne ha tante di valore assoluto: da Marta Cartabia a Paola Severino (in rigoroso ordine alfabetico), solo per citare quelle che in questo momento sono state inserite dai partiti, insieme a Elisabetta Belloni, nella rosa da valutare.
Una sola cosa chiediamo a tutti i partiti. Basta confusione. Basta instabilità. La crisi di leadership è evidente e il prossimo settennato dovrà necessariamente vedere muoversi qualcosa in tema di riforme istituzionali. Finitela di mettere sulla graticola non solo i nomi ma soprattutto le funzioni fondamentali della nostra Repubblica.