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Crisi non solo politica ma di identità e metodo

Una settimana per eleggere il Presidente della Repubblica e una settimana per votare il vincitore del 72° Festival di Sanremo. Nel mezzo, riposo assoluto. Fermo anche il pallone. Domenica prossima potremo fare bilancio e forse segnare sul nostro diario quale delle due sarà filata più liscia, ci avrà entusiasmato di più.

Ad occhio prevediamo Sanremo. Non foss’altro perché le 13 votazioni presidenziali di Montecitorio stanno 6 volte in quelle di Sanremo e quindi il meccanismo si presenta meglio oleato e scorrevole.

E comunque, per come è andata la settimana parlamentare, essa ci è apparsa come una sceneggiata tipicamente scolastica e i 1.009 cosiddetti grandi elettori hanno fatto la figura dei piccoli alunni di scuola media. Campioni di improvvisazione. Che nulla hanno imparato dall’esperienza nefasta di quando si vuole redigere un compito o sostenere un’interrogazione e non si è studiato l’argomento.

L’elezione del Presidente della Repubblica, per questo Parlamento, sarebbe dovuta equivalere ad uno degli adempimenti portanti, per non dire a quello più importante, di questa legislatura. Esserci arrivati in piena confusione, destinare ad una settimana incontri, colloqui e dialoghi, è stata operazione malaccorta, al limite della superficialità. Facevamo così, la domenica sera all’ultim’ora, quando ad alta voce, prima di andare a letto, ce ne uscivamo con “adesso ricordo che dovevo fare un compito che non ho fatto, e domani? Come farò domani a scuola?”. “Domani prenderai un brutto voto e te lo terrai” – era la risposta della mamma.

Ora, che 1.009 grandi elettori abbiano fatto questa figura sotto gli occhi dell’implacabile telecamera è stato spettacolo poco gradito. I cittadini che hanno votato e mandato in Parlamento i loro prescelti, ad essi avevano affidato anche questo compito. Se non addirittura primariamente. Che non è un compito qualsiasi. L’elezione del Presidente della Repubblica è una delle scelte più solenni della Repubblica e dello Stato. E’ anche un giorno di festa poiché si porta in alto (al posto più alto) quella personalità che dell’Italia rappresenta l’unità ed esercita l’azione di equilibrio dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Fare confusione, non arrivare preparati allo svolgimento del compito è già disattendere.

Le mille chiacchiere prodotte una dopo l’altra hanno manifestato l’improvvisazione propria di chi non ha le idee chiare, di chi va per tentativo e approssimazione, appunto come facevamo in classe, da bambini, davanti all’ostinazione dell’insegnante che non ammetteva il procrastinarsi della prova in calendario. Tuonava: “Era per oggi questo compito, non per domani o dopodomani”.

Che cosa pensare: che anche quando non ci sono le telecamere in diretta le cose vanno per altri adempimenti così come sono andate per l’elezione del Presidente?

E allora, la crisi, prima ancora della politica, è crisi di identità e di metodo. Di identità, perché non è da uomini maturi far scorrere in tal modo i propri compiti. Di metodo, perché non è ammissibile continuare ad adottare quello spensierato e (forse) tipico dell’età fanciulla. Se una squadra di Vigili del Fuoco facesse altrettanto? Se una squadra di medici facesse in egual modo in sala operatoria? Quando senza metodo si muove una squadra di calciatori in campo, l’occhio dello spettatore corre lontano fin da subito e pronostica quello che si paleserà alla fine: sconfitta.

Noi siamo caduti bene perché un padre della patria stava meritatamente per accomodarsi in panchina e l’abbiamo chiamato a rientrare in gioco. Ma non è così che si fa. Non si può chiedere ad altri di rispondere al senso del dovere quando si è mancati al proprio. A ciascuno il suo compito. E anche il giusto riposo.

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