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Sul Cristo deposto a Leopoli e sul valore simbolico dell’arte in tempo di guerra

La morte di Letizia Battaglia ci ricorda quanto potenti siano le immagini d’arte e quelle fotografiche in particolare. Non c’è altro da aggiungere.
 
Qualche anno fa, correva il tempo delle orribili imprese dell’ISIS in Medio Oriente, ricordo un servizio tra le macerie inerti, in cui si distinguevano, iconici, alcuni gialli accesissimi: un frammento di taxi o il probabile impermeabile di un bambino, testimonianze residue di una vita ostinata dove tutto intorno era morte e distruzione.

Ora Leopoli, col suo Cristo disceso dalla croce, trascinato nel sepolcro di un bunker col suo seguito di dolenti. Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea potrebbero ben essere i due attendenti che hanno avuto il compito di seppellire la splendida statua del XV secolo nel tentativo di sottrarla alle ingiurie belliche.

Seppellire, seppellire, seppellire i vivi, i morti, i redivivi. Che triste primato hanno le guerre! Tutte le guerre. Le opere d’arte non sono meno vittime di quel capolavoro incompiuto che è l’uomo; anch’esse soffrono, si fanno metafora, il loro valore simbolico è tale da indurre le genti a salvarle, salvarle come si fa con i deboli, nella speranza di potere vederle tornare a splendere in un futuro migliore.

L’Italia sa cosa significhi questa pratica funebre transitoria, per averla praticata clandestinamente durante la Seconda guerra mondiale contro i nazisti e, paradossalmente, contro gli stessi italiani che parteggiavano (Sic) per i nazisti.

A futura memoria, come quando Morehshin Allahyari celava dentro il corpo opalino di statue riprodotte in stampa digitale 3D, le testimonianze fotografiche e filmiche degli scempi che i miliziani dell’ISIS compivano sugli originali scultorei ormai distrutti.

Il valore universale dell’arte anticipa così il valore meno universale dell’essere umano.
 
Chissà, tra cinquant’anni i pronipoti di Putin verranno alla Cattedrale di Leopoli in pellegrinaggio o come allegri turisti per ammirarne le bellezze, e forse nemmeno percepiranno il danno di queste settimane, dei prossimi mesi, dimentichi della barbarie perpetrata dai propri avi a persone e cose. Perché gli uomini e le donne dimenticano. Così è la storia, così è la guerra, così è la vita. Quale vita, poi, non saprei dire.
 
In questa Pasqua di sangue, la ripetizione all’infinito delle Vie Crucis per le strade cristiane amplifica a dismisura quel trasporto funebre eccezionale. Speriamo che tale amplificazione di immagini gli dia più senso.

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