Se ai predicati ‘catalogare’ e ‘archiviare’ associamo il contemporaneo, il complemento che ne consegue suonerà straniante, perché comunemente accostiamo i due verbi al passato ed è opinione comune che l’accumulazione studiata sia un retaggio storico. Per questa via molti progetti dai virtuosi intenti sono stati condotti nel tempo, elevando l’etnomusicologia a modello teorico (Lomax docet). Ma la domanda delle domande è: si può archiviare il contemporaneo? Nell’ambito della musica e della canzone popolare apparentemente no, portati come siamo a fare thesaurus del solo repertorio ‘di tradizione’.
Io credo invece che dovremmo iniziare a guardare verso ciò che sta ancora accadendo, che si appresta a succedere, applicando ai fenomeni conseguenti un metodo mnemonico. Così facendo, predisporremmo il continuo fluire del canto, della musica fuor di spartito e dell’oralità alla futura memoria; giocheremmo d’anticipo rendendo quelle voci immediatamente fruibili alla vastità della rete in festival permanenti della contemporaneità. Perché poi occuparsi con metodo analitico e conservativo di un mondo per sua stessa natura fluttuante?!? Non lo so, forse per amplificare… Si, per amplificare le voci; per dar loro uno spazio ed un tempo concreti, per contribuire alla ‘sanificazione’ delle reti folk, lungamente attardate su di una visione etnomusicologica meritoria ma limitante. Ragguardevole mi pare un esperimento attualmente in corso nella Puglia della stracca taranta. Si chiama Futuro arcaico, un ossimoro significante ideato e promosso da folcloreelettronico.com. Un progetto [cito testualmente] multimediale condiviso, ideato per raccogliere narrazioni sull’identità pugliese (ritualità, folklore e tradizione) attraverso i linguaggi artistici contemporanei.
Un bel passo in avanti, non credete? E se ci spingessimo a tagliare le parole folklore e tradizione, lasciando solo il termine ambiguo della ‘ritualità’? Un archivio immaginifico e sinestetico delle sole voci popolari, dell’oralità, della poesia qui e adesso, nel melting pot di culture musicali internazionali. In tale direzione Catania è città pilota con laboratori sonori rubricati alle sigle Meltin Folk, Alkantara Fest, Marranzano World Festival, Zampognarea. Essi svolgono un importante ruolo in qualità di monitori delle ultime tendenze musicali popolari nel mondo, all’incrocio virtuoso con la tradizione. Eppure, nella città etnea come altrove, il patrimonio accumulato diventa bene culturale a rischio di dispersione ancora prima che lo spettacolo sia finito.
Se invece un festival digitale delle civiltà musicali popolari si desse la missione primaria sí dell’incontro, dello scambio, della performance, ma soprattutto dell’archiviazione, della catalogazione e del conseguente studio sistematico dei fenomeni emergenti (una sorta di Registro delle Eredità Immateriali, ma con la freschezza e l’impeto del continuo divenire), non sarebbe questa una Koinè, un Esperanto per dare voce stabile e risorse – le sospirate risorse! – ad un mondo sonoro in perenne bilico?