Il caldo di agosto dovrebbe portarci a scegliere il riposo e il fresco, del mare o della montagna, per recuperare dalle fatiche psicologiche e quindi anche fisiche che hanno contraddistinto questa prima parte dell’anno 2020. Invece i nostri riposini pomeridiani, le conversazioni sotto l’ombrellone hanno un nemico, il referendum confermativo della riforma costituzionale. Il caso è questo: 20 e 21 settembre voteremo Si o No per decidere se entrerà in vigore la riforma costituzionale che ridurrà i parlamentari italiani da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse per almeno una dozzina di obiezioni da distribuire equamente sulla fase di approvazione; sulla storia dei tentativi, riusciti o meno, di riforma costituzionale; sugli effetti che si avrebbero sulla rappresentanza; sul comportamento dei partiti politici dal momento dell’approvazione della riforma; sul presunto risparmio, che pare sia il punto forte (!) di questo tentativo di mettere mano alla Costituzione.
E’ proprio il presunto punto forte quello che desta la maggiore curiosità. Che questa riforma porti a una riduzione di costi della politica è innegabile, l’aspetto oggettivamente ridicolo è la dimensione della riduzione di costo. Già da tempo l’osservatorio diretto da Carlo Cottarelli ha fatto i conti in tasca alla riforma informandoci, senza essere smentito, che il risparmio sarà pari ogni anno al costo medio di un caffè al bar per ciascun cittadino. Dovrebbe essere sufficiente questo dato per le valutazioni conseguenti e, fortunatamente, un gruppo di parlamentari, su proposta della Fondazione Einaudi, ci consentono di esprimerci sull’argomento.
Perché il referendum confermativo è previsto solo nel caso in cui i soggetti abilitati a richiederlo alzino la voce per consentire ai cittadini elettori di votare e decidere sull’entrata in vigore delle norme, senza obbligo di quorum. Proprio l’assenza di quorum, il cui raggiungimento è obbligatorio per i referendum abrogativi di norme (quelli dove si vota si per dire no e no per dire si), è il capolavoro dei costituenti, l’ultima norma a difesa di un lavoro di scrittura condiviso, simbolo di compromesso e di promessa di un futuro migliore. Anche uno sparuto gruppo di cittadini può difendere la Costituzione e il sogno di un’Italia democratica, che davvero rimuova gli ostacoli alla crescita della persona umana e non c’è tribunale, parlamento o governo che potrà dire che quel referendum non è la piena espressione del popolo italiano e del suo potere costituito.
Premesso che in fondo potrebbe essere irrilevante il numero dei parlamentari, destano preoccupazione le motivazioni con cui si schierano per il Si alcuni esponenti dell’area riformista. La riduzione del numero dei parlamentari come grimaldello per una futura riforma omogenea o quale apripista di una legge elettorale. Sembrerebbe che non sappiano benissimo che la riduzione del numero dei parlamentari rappresenterà un problema per il funzionamento delle Camere e dei lavori in commissione, che ne sono buona e consistente parte. La legge elettorale, poi, ci era stata promessa da tempo ma non se ne vede traccia significativa. Né sembra che, pur essendo da tempo componenti delle Camere, si siano accorti che il vero problema sta nei regolamenti parlamentari e nel bicameralismo perfetto, che ormai non regge al mutare dei tempi e della società.
Un impatto devastante sarebbe quello sulla rappresentanza territoriale, perché la concentrazione dei cittadini nei grandi centri e nelle aree metropolitane da un lato determinerebbe una minore presenza di rappresentanti dei piccoli comuni in Parlamento, dall’altro l’effettiva impossibilità per gli eletti di svolgere un ruolo nel territorio. A questo tema cruciale dedicheremo una riflessione specifica. Resta l’amara considerazione che tanti strenui difensori della Costituzione in occasione di precedenti tentativi di riforma siano oggi folgorati sulla strada del governo a tutti i costi e vogliano convincerci della bontà di una riforma a cui sono loro per primi a non credere.