I sondaggi (riservati) confermerebbero le previsioni della vigilia: netta vittoria del Sì, anche se il No sta avendo un forte recupero, imprevisto ed imprevedibile solo qualche settimana fa. Perché? Da un lato – non si può nascondere – tutte le volte che si tocca la Costituzione scatta un meccanismo “conservatore” nella pancia degli Italiani. Evidentemente 20 anni di dittatura e 50 anni di guerra fredda, con il timore di svolte totalitarie, sono annidati, ancorché “in sonno”, dentro di noi, pronti a risvegliarsi tutte le volte che l’equilibrio costituzionale viene toccato.
Non è il mio caso. Sono e resto convinto che le riforme vadano fatte, perché rispondono ad un bisogno vero: quello di adeguare le regole di convivenza, la disciplina dei diritti e dei doveri, pubblici e privati, alle esigenze del corpo sociale, che muta nel tempo. La bocciatura di riforme organiche (quella del 2016) o il fallimento di altre (quella del 2001) non fa venire meno, in me, il bisogno di rinnovare la Costituzione, soprattutto la sua seconda parte, anche se nuove esigenze di ridefinire diritti e doveri riguardano anche la prima. Personalmente sento l’esigenza di riformare la Costituzione, la forma di Governo, il numero dei parlamentari, l’assetto delle Camere (abolendo il bicameralismo paritario) e l’organizzazione del loro lavoro.
Il mio, quindi, non è un NO per conservare ciò che c’è, ma è un NO all’illogicità di cominciare dal fondo e dalla più banale delle proposte un processo riformatore; il ripudio delle motivazioni vere che hanno generato una modifica le cui motivazioni si ritrovano nelle parole di quel giovane deputato del M5S (“meno deputati saranno più controllabili e avremo meno corrotti”) o nello striscione con disegnate poltrone e forbici, sventolato sempre dal M5S al momento dell’approvazione definitiva della legge; all’ assenza di un’intesa su una legge elettorale coerente con la riduzione dei parlamentari e capace di coniugare rispetto della rappresentanza con l’esigenza di efficacia (tale non è il mezzo accordo rabberciato negli ultimi giorni solo per stendere un velo di ipocrita vergogna sul volto della maggioranza e del PD in particolare); all’avere, quindi, ridotto la questione del numero dei parlamentari e, quindi, del Parlamento, non già a un principio di rappresentanza e di esercizio del principio di “sovranità” popolare, ma di rituale orpello di un desueto modo di esercitare la “democrazia”, coerente sicuramente con le convinzioni di Casaleggio senior e del movimento da lui pensato, tutte orientate alla “democrazia dei click” contro la democrazia rappresentativa e parlamentare e non certo in sintonia con la Costituzione repubblicana. Per dirla con il Direttore Molinari, anche il PD ha scelto Rousseau contro Montesquieu. Io sto con Montesquieu.
A ognuna delle risposte che il “fronte del Sì” offre ai rilievi del “fronte del NO” (“tutte le proposte di riforma fin qui avanzate contenevano la riduzione dei parlamentari” … “con meno parlamentari le commissioni parlamentari saranno più efficienti” …. “i costi si riducono di ben 60 milioni all’anno” …. ” abbiamo preso l’impegno di riformare la legge elettorale” … “gli USA hanno meno parlamentari di noi” … “i regolamenti parlamentari si possono modificare quando si vuole e senza leggi costituzionali” …. ecc. ecc.) si è risposto in maniera così chiara da parte di tutti i più autorevoli esponenti del fronte del NO e non sarò certo io a tediarvi ripetendole puntualmente. Desidero, però, sottolineare tre questioni.
Questa riforma è una delle ragioni fondanti del Governo Conte II. Al contrario della riforma bocciata nel 2016 – che nasceva prima del Governo Renzi, a seguito della grave crisi istituzionale, prima ancora che politica, che portò alla rielezione di Napolitano – il Governo Conte II affonda la sua legittimità nell’accettazione di questa modifica costituzionale. Il “contratto” PD-M5S – e con esso il Governo – non esisterebbe se non ci fosse stato questo patto, con quelle motivazioni, demagogiche e populiste.
Questo Governo nasce, quindi, con questo vulnus populista che mi auguro che gli Italiani smascherino se non con la sconfitta del Sì, almeno con un buon risultato del NO. In ogni caso il silenzio del premier e il suo tentativo di allontanare da sé l’inasprirsi della battaglia referendaria la dice lunga sulla preoccupazione con cui si guarda dalla maggioranza all’entusiasmo crescente che si è creato intorno al NO.
Va ricordato, poi, che la mancata approvazione della riforma elettorale contestualmente al “taglio”, promessa non mantenuta della maggioranza giallo-rossa, rappresenta una polizza-vita sul futuro del Governo, perché il Presidente della Repubblica non potrebbe certo sciogliere le Camere in presenza di questo “taglio” che cancella l’attuale legge elettorale. Non si può votare fino a che non c’è una nuova legge elettorale! Lunga vita al Conte II, quindi! Ecco un’altra buona ragione per dire NO.
Questo voto è inoltre viziato, a mio giudizio, anche per la scelta, al limite della costituzionalità, di abbinarlo alle elezioni regionali. Che però non si tengono in tutto il Paese. L’emergenza COVID esiste, ma non è questa la vera motivazione che ha spinto il Governo a scegliere questa data. Siamo di fronte ad una violazione palese della Costituzione materiale perché un referendum sulla riforma della Costituzione si tiene in condizioni ben diverse tra Regione e Regione, il che non formalmente ma sostanzialmente introduce elementi di disequilibrio nell’esercizio del principio di sovranità. Sarà, quindi, interessante capire quanto l’affluenza alle urne inciderà sul voto e sulla sua distribuzione, regione per regione. Ma anche questa “furbata” del Governo è, per me, motivo sufficiente per dire NO.
Infine: già è difficile capire perché, al di là delle ragioni di bottega richiamate sopra, il PD abbia accettato questa riduzione del numero dei parlamentari senza pretendere la contestuale approvazione di una riforma elettorale che ripristinasse in modo corretto il rapporto tra eletti ed elettori in un quadro di revisione organica della Costituzione, ma che il PD abbia anche accettato di avviare l’iter legislativo non solo per mantenere il Senato con l’attuale funzione politica e legislativa (analoga a quella della Camera), ma abbia anche accettato di trasformare il “bicameralismo paritario” in “bicameralismo perfetto”, abolendo l’elezione su base regionale del Senato e uniformando a quello della Camera la disciplina dell’elettorato attivo e passivo è davvero un non-senso. Nel giro di meno di tre anni siamo passati dall’abolizione del Senato alla costituzionalizzazione della fotocopia integrale della Camera, togliendo quelle piccole differenze che erano state previste dai Costituenti tra le due Camere. E questo per rafforzare la “democrazia dei click”, cara alla “Casaleggio Associati”.
Valgono su tutto, a questo proposito, le parole di Umberto Terracini, comunista eretico, già Presidente dell’Assemblea Costituente: “…quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni”. E sui costi aggiungeva: “…anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte ad un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza”. Ecco. Oltre a tutte le questioni più note, che emergono nel dibattito a tutti i livelli, mi preme sottolineare queste tre che, già da sole, sarebbero sufficienti per dire NO senza tentennamenti.