Perché ha deciso di votare NO al referendum costituzionale?
Sono stato forse tra i primi che hanno manifestato pubblicamente il proprio punto di vista. Fortunatamente nelle settimane successive il numero di coloro che hanno deciso di votare No e che l’hanno voluto dire pubblicamente è aumentato e in parallelo anche i sondaggi hanno registrato una crescita costante dei NO. Io ho deciso per una serie di ragioni di merito e per una scelta politica. Le ragioni di merito abbiamo imparato a conoscerle: peggiora drasticamente il rapporto quantitativo tra elettori ed eletti e questo va a danno soprattutto delle aree meno popolate. Viene spazzato il criterio di rappresentatività dei territori; va molto a danno dei cittadini italiani che vivono all’estero, tra i quali serviranno numeri enormi per avere un rappresentante in Parlamento. Questo minor numero di parlamentari sarà, alle attuali regole di compilazione delle liste, ancora più controllabile dalle segreterie dei partiti: oggi ancora uno spazio per qualche outsider scelto dai cittadini c’è, domani non ce ne sarà più. Il Parlamento non sarà più efficiente: il numero si va a ridurre del 36% in modo lineare ma in termini assoluti il numero dei Senatori sarà ridotto in valori assoluti a soli 200. Questo vuol dire che sarà ancora più difficile far lavorare le commissioni, per cui saremo ancora più lenti e meno efficienti. Questo creerà un maggiore squilibrio tra Parlamento e Governo e porrà il Parlamento in ostaggio di pochi senatori che, cambiando la propria collocazione politica potrebbero mettere in discussione le maggioranze. Tutto questo giustifica ampiamente un NO.
La ragione politica?
Non possiamo non vedere da dove venga questo taglio dei parlamentari, cosa rappresenti, perché tutto è tranne che una riforma, è uno spot elettorale. Qualcuno ha detto – con più decisione – che è una “marchetta” in nome dell’antipolitica, in nome di una rappresentazione caricaturale della politica e della rappresentanza parlamentare, dove i politici vengono indicati come occupanti di poltrone da colpire. Sono i cavalli di battaglia dei cinque stelle che non a caso aveva presentato questa proposta insieme ad altre due che ben spiegano il loro atteggiamento: il vincolo di mandato, che significa mettere il destino di ogni rappresentante che siede in quelle aule nelle mani dei segretari di partito, e il referendum propositivo che segnala una prospettiva di conflitto tra volontà pseudo-popolare e democrazia rappresentativa.
Tutti i partiti affermano di aver sempre sostenuto il taglio dei parlamentari. Ma è la stessa cosa?
Non è assolutamente vero che questa riforma somigli alla riduzione dei parlamentari che in altre occasioni in passato anche il centro-sinistra ha sostenuto: quella riduzione dei parlamentari stava dentro una cornice di riforma sostanziale del funzionamento del Parlamento che prevedeva una sola camera deliberativa, superando l’anomalia italiana di avere due camere che fanno sostanzialmente lo stesso lavoro. È completamente diverso avere 600 deputati o 400 deputati e 200 senatori in due rami del Parlamento che duplicano lo stesso mestiere. Io non mi riconosco in alcun modo in questo taglio.
Il PD sostiene il Si. È deluso?
Mi dispiace che il mio partito, che per tre volte, con questi stessi argomenti, non con altri, aveva rappresentato la sua contrarietà, alla fine abbia deciso di votare Si in quarta votazione perché quella era la condizione posta dai cinque stelle per la nascita del governo. Io non c’ero in quelle trattative e non so dire se il governo non sarebbe nato se il PD avesse detto No, tenendo il punto su quella posizione. Difficile da dire. Ma in ogni caso i correttivi che in quella circostanza erano stati “barattati” per votare in modo favorevole non si sono realizzati, come sappiamo. Se il patto andava onorato, andava rispettato innanzitutto dal M5S che si era impegnato a varare una nuova legge elettorale, a promuovere il voto attivo da parte dei diciottenni anche per il Senato, a modificare la base regionale del voto al Senato. Nulla è arrivato in porto. Qualcosa ha fatto qualche passo ma è ben lontana dall’essere un’approvazione. Tutto questo motiva con forza un No che nella sua sintesi è davvero un No all’antipolitica. Ho visto che nelle ultime ore i cinque stelle hanno rispolverato i loro cavalli di battaglia e cioè: “mandiamo a casa questi dinosauri”, mettendo alla berlina persone perbene che hanno dedicato la loro vita alla politica come Gianni Pittella, indicato come un poltronaro da mandare a casa. Io non creo proprio, da democratico, di poter dare la mia approvazione a questo modo di fare politica.
L’intera sua giunta ha deciso di schierarsi per il No, come buona parte del popolo del PD. Soddisfatto?
Cerco sempre di non sovrapporre i piani: la mia giunta è un gruppo di persone che lavora per l’amministrazione di Bergamo. Alcuni di loro sono iscritti al Partito Democratico, altri appartengono a formazioni civiche o neppure a quelle, hanno un profilo tecnico. Ho appreso dai giornali che tutti e nove i miei assessori erano orientati a votare per il No. Ne ho preso atto e ne sono contento ma non voglio strumentalizzare la loro posizione che è personale. Certo è che in generale il fatto che così tanti iscritti e militanti del PD, a prescindere dalla loro collocazione, anche persone molto vicine alla posizione del segretario Zingaretti, abbiano espresso la loro posizione per il No è molto significativo. A me pare che ci sia un difetto di comprensione da parte del vertice del partito di quale sia l’orientamento naturale ma ragionato degli elettori e degli iscritti. Si è deciso di tenere formalmente la posizione del si. Così ha deciso la direzione. Io rispetto quella decisione ma è anche vero che in quel passaggio il segretario è stato abbastanza comprensivo delle ragioni del no, non ha forzato né ha rivolto critiche aggressive a chi sostiene il No. Il PD ha deciso di votare Si nel quarto e ultimo passaggio parlamentare. La direzione ha votato Si di nuovo, peraltro con un meccanismo abbastanza curioso e inedito, che è quello di contare tra i favorevoli coloro che non avevano segnalato anzitempo la loro assenza. Il silenzio assenso è una cosa abbastanza curiosa. Io credo che saranno moltissimi i militanti e i sostenitori del PD a votare No.
Se passa il SI chi può ritenersi vincitore?
Vince Di Maio, vincono i cinque stelle. Resuscitiamo un partito che per il resto, per fortuna, è in caduta libera nei consensi tra i nostri concittadini. Lo ha scritto molto bene il direttore di Repubblica, segnalando che questa crescita eterogenea del fronte del No comprende nomi di nobili rappresentanti della tradizione del PCI, insieme alle Sardine, Pierluigi Castagnetti, Romano Prodi e molti sindaci. Questa cosa testimonia una vitalità della società italiana nell’opporsi a una deriva populista che è in calo. Quello che abbiamo passato negli ultimi mesi ha riportato in auge un bisogno di serietà, di concretezza, di fattività, di qualità della rappresentanza politica, esattamente l’opposto della vulgata che sostiene questo spot elettorale dei cinque stelle. Quindi se vince il SI vedremo nuovamente gonfiate le vele dei populisti: andranno sui balconi ad annunciare una svolta epocale, rivendicando di aver fatto quello che avevano promesso.
Se prevale il NO?
Se vince il NO gli sconfitti saranno ancora i cinque stelle. Saranno i populisti, quelli che misurano la politica un tanto al chilo. Io credo che sarebbe un segnale molto interessante. Non credo che avrà conseguenze né per il Governo né per il Partito Democratico, per la sua segreteria. Allo stesso modo penso che neanche l’esito delle regionali avrà conseguenze di questa natura. Ma sarà un segno molto forte di reattività per il PD in particolare, perché sarebbe una indicazione della strada da intraprendere nei prossimi mesi che potrà essere spesa anche in altri contesti.