Sul referendum è inutile girarci intorno, il bicchiere è mezzo vuoto. Il 30% ottenuto dal NO è meno di quello che ci si aspettava. La diffidenza nei confronti dei politici è talmente radicata nei cittadini da sconfinare ormai nell’ostilità. Che poi è rancore, come abbiamo avuto modo di dire, nei confronti di tutti coloro che riescono a esporre un tenore di vita superiore al proprio. Se Di Maio, che ha già chiesto l’impeachment nei confronti del Capo dello Stato, proponesse di ridurre da 15 a 9 i giudici della Corte Costituzionale, raggiungerebbe il 90% dei consensi. La crisi che attanaglia da anni l’economia e che ha invertito la corsa dell’ascensore sociale, ha trasformato gli italiani in un popolo di rancorosi.
Politicamente ha vinto Luigi Di Maio, che presto tornerà a essere il leader del partito a cinque stelle. Nonostante il pessimo risultato ottenuto alle amministrative, ha raggiunto infatti il traguardo storico per cui è nato il movimento nelle piazze della Vaffa. Il caso ha voluto che tutto ciò accadesse giusto nel momento in cui gli anti casta si sono trasformati essi stessi in casta. La più spudorata delle caste, disponibile a governare indifferentemente con la Lega e col PD, pur di stare al governo; capace di rinnegare tutti ma proprio tutti i tratti fondanti del M5S di Grillo e Casaleggio padre.
Non riusciranno a capitalizzare il SI né la Lega né Fratelli d’Italia, che hanno perso l’ultima occasione di tornare al voto prima della scadenza naturale della legislatura. Da gennaio arriverà una barca di miliardi dalla famigerata Europa e a giugno inizierà il semestre bianco di Mattarella. Game over. Tantomeno potrà dichiarare vittoria il Partito Democratico, la cui base in maggioranza ha parteggiato per il NO. Certamente si è rafforzato il segretario del PD che, grazie anche alla vittoria in Toscana e in Puglia, ha blindato la sua leadership sino alle prossime elezioni politiche. Vedremo nei prossimi mesi se Zingaretti riuscirà a imporre alla maggioranza di governo e al Presidente del Consiglio le riforme, ormai indifferibili, che avrebbero dovuto anticipare il voto referendario.
Il fronte del NO, che ha raggiunto il 30%, ha in comune soltanto la voglia di resistere a una modifica disarticolata, demagogia e populista della Costituzione. Il voto ha dimostrato che ci sono sette milioni e mezzo di italiani molto più coraggiosi dei segretari e dei parlamentari di tutti i principali partiti presenti in Parlamento, che hanno consentito uno strappo prepotente della Costituzione per il timore di farsi scavalcare a destra e a sinistra da un M5S che ha consumato le ragioni storiche per cui è nato. Cos’altro potrà offrire in sacrificio a un popolo sempre più assetato di sangue populista che da qui a pochi mesi dovrà fare i conti con lo sblocco dei licenziamenti?
Il NO alla riforma del 2016 poteva bene essere trasformato in un SI a Matteo Renzi, perché quel referendum in realtà è stato un voto sull’allora segretario del PD e presidente del Consiglio. Le doverose dimissioni da entrambe le cariche potevano e dovevano trasformarsi in un rilancio politico, che non c’è stato, al grido: ho perso ma quel 40% di consensi è mio. Oggi nessuno può rivendicare la guida del 30% che si è opposto alla riforma. È certamente il segnale dell’esistenza nel Paese di un “presidio silenzioso” che si oppone al populismo e alla demagogia ancora troppo radicati nel cittadino comune, ma è un presidio minoritario che ad oggi è ben lontano dal divenire maggioranza, soprattutto per mancanza di una leadership e di una classe dirigente, non solo politica, capaci di proporre una via d’uscita attendibile dalla crisi economica che ha mortificato e svilito le aspettative di crescita dell’Italia negli ultimi dieci anni.
Non condividiamo ma rispettiamo ovviamente la scelta della maggioranza degli italiani. È il segnale che il malessere è ancora alto. Non potevamo pretendere che fosse il cittadino medio, da anni bombardato con messaggi di sfiducia nei confronti della classe politica e impaurito dal mordere della crisi economica, a difendere la Costituzione. Confessiamo che ci saremmo aspettati qualcosa di più soprattutto dai nostri concittadini meridionali. In Campania, in Puglia, in Calabria e Sicilia il NO ha toccato percentuali vicine al 19%. Una delusione profonda da un popolo che deve pretendere pari opportunità non più bonus e sussidi. Ci saremmo aspettati di più soprattutto dalla classe dirigente del nostro Paese. Più coraggio. La stessa forza che hanno dimostrato quei sette milioni e mezzo di italiani che sono ancora minoranza, che sono disgregati, che non hanno una guida, ma che hanno lanciato un segnale forte e chiaro. Da oggi in avanti, ognuno seguendo il proprio percorso e il proprio ideale, deve e può sperare di ritrovare presto un popolo non più rancoroso e vendicativo ma riconciliato e operoso.