Che il coronavirus avrebbe cambiato la nostra vita lo si è intuito immediatamente, e presto è stato detto ad alta voce. In che misura e direzione l’avrebbe poi condotta, neanche l’alta scienza riuscì a suo tempo a prevederlo. E’ una registrazione che andiamo facendo giorno dopo giorno. Scopriamo piccole e grandi ferite nel nostro vivere e interagire quotidiano fin quasi a sorprenderci non essere più quelli di prima, capaci, per esempio, di rifuggire la compagnia che pure amavamo, di variare nell’umore e ancor peggio di manifestare escandescenze o ricorsi alla violenza.
Ma i mesi del ritiro forzato e della disciplina somministrataci per decreto ci hanno anche indotti a far emergere dal nostro intimo una specie di filosofia di vita, che pure avevamo, ma che nel tempo precedente ritenevamo non proprio necessario praticare.
Parliamo qui di rapporti umani, di rispetto, di delicatezza e anche di coerenza tra ciò che si dice – o addirittura si prescrive agli altri – e poi non si fa.
Insistiamo sull’uso della mascherina. Sappiamo tutti quanto vale, dicono i medici che sostituisce al momento il vaccino che attendiamo. E’ fastidiosa? Moltissimo. Tante persone non escono di casa nelle ore di probabili assembramenti per evitarne il ricorso: semplicemente, non la sopportano. Quindi, rinunciano per amore degli altri. Sanno benissimo che con la mascherina si tutelano e con la mascherina tutelano. Allora, che cos’è la mascherina? E’ e resta uno strumento. Usarla, però, è molto di più di uno strumento. E’ un atto di gentilezza, cioè la capacità di vivere tra la gente. Quando qualcuno ci richiama a farne uso, sarebbe utile ricordare a sé stessi che non si tratta necessariamente di una persona che vuole mettere in riga gli altri, ma probabilmente di qualcuno che sa molto bene quello che sta dicendo. Non può spiegarlo, ma non è neanche tenuto a farlo. Potrebbe essere obbligato a spiegare qualcosa di questo tenore: sono leucemico, sono imbottito di chemio, ho dentro un tumore, sono semplicemente terrorizzato che se dovessi ingoiare anche il virus, non c’è terapia che mi rimandi a casa? Finanche questo ci sarebbe da dire. E non si può aspettare che ce lo dicano per poi chiedere scusa, sarebbe solo pretesa assurda.
E allora? Allora aveva ragione Platone quando avvertiva: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”.
Silvius Magnago – ricordava Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera -, leader altoatesino che aveva perso una gamba in guerra, in un’assemblea spense un brusio con un’esclamazione: “Insomma! Se io posso stare in piedi a parlare su una gamba sola, voi potete ben stare zitti, restando seduti!”. C’era proprio bisogno che Magnago lo dicesse? C’erano mille motivi per non costringerlo a tanto, anche se uno solo sarebbe bastato: un pizzico di buona creanza.
E per arrivare ai nostri giorni, registriamo anche questa bella testimonianza, resa in Parlamento da Lisa Naia, avvocato civilista, affetta da amiotrofia spinale, costretta a vivere su una speciale sedia a rotelle: “Ogni mascherina abbassata, ogni assembramento non autorizzato o che avviene senza il rispetto delle misure di sicurezza è un aiuto al virus e alla sua capacità di condizionare le nostre vite o addirittura di mettere in pericolo la vita delle persone più fragili. E noi, cari colleghi, che rappresentiamo le istituzioni, abbiamo il dovere di affermare questa verità quotidianamente anche con i nostri comportamenti”.
Se abbiamo letto bene, l’on. Naia ha parlato a tutti, ha detto la più precisa filosofia della mascherina e anche la sua più ortodossa valenza politica. Peccato che mentre a Roma si discuteva, a San Giovanni in Fiore si ballava. Ma solo per una questione di distanze.