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La domanda etica di fondo sul modello Riace di Mimmo Lucano

Sia chiaro: quest’articolo non ha alcun fondamento giuridico, né ha la pretesa di apparire apologetico a priori. Esso si interroga solamente sulla sostanza umana delle cose, su come possa ritenersi illecita la cura delle persone, il loro inserimento o reinserimento con dignità nel tessuto sociale; se sia possibile o meno derogare dalla norma giuridica per tutelare il valore della solidarietà, quando una serie di eventi porti a forzare il sistema per un fine superiore.

È il principio per cui don Milani ha potuto fare quello che a fatto per i ragazzi di Barbiana, Danilo Dolci per i braccianti di Trappeto e Partinico, Basaglia per i malati psichiatrici, prima che la norma si adeguasse a quelle esperienze necessarie e rivoluzionarie. Prima, quando gli apparati ecclesiastici mettevano i bastoni tra le ruote alla pedagogia del parroco di campagna, la mafia seminava il panico tra i contadini siciliani col tacito assenso degli apparati di governo isolani, quando il malato psichiatrico era uno scandalo per la società borghese e si internavano i parenti anche solo per il carattere ribelle di alcuni di loro.

Voglio dire che la nostra bellissima Costituzione e le conquiste sociali che essa ha assicurato a noi, alle nostre madri e padri, ai nostri figli senza che questi ultimi se ne rendano più conto, è nata da legiferatori che fino a qualche anno prima erano fuorilegge. Si, i vari La Pira, Calamandrei, Togliatti, Einaudi, Moro … fuorilegge. Come Mimmo Lucano?

Che esagerato, voi penserete e forse avete ragione; forse il caso Riace è solo un fastidioso inciampo sul cammino della democrazia, e bene hanno fatto il Ministero dell’Interno prima, la magistratura adesso, a indagare e condannare il modello sociale ivi sperimentato negli ultimi anni. Ma la domanda etica di fondo resta.

Per converso, mi chiedo quale pena spetterebbe ai sindaci che hanno consentito e consentono, in tutta Italia, la ghettizzazione degli immigrati costringendoli nelle baraccopoli, chiudendo gli occhi sullo sfruttamento feroce a cui essi sono sottoposti nei campi di mezzo meridione, con paghe da fame.

Perché Riace e non, ad esempio, Gioia Tauro o Manfredonia? Quale ufficio del Ministero dell’Interno, quale magistratura indaga e condanna quelle amministrazioni? Basta rispondere che la legge non lo consente? Forse non lo consente, ma la sensazione che tale vulnus sia enormemente più grave dell’operato di Mimmo Lucano a Riace è più forte di qualunque condanna a tredici anni e passa di galera.

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