La motivazione della presenza della lira (o meglio delle lire) in Calabria costituisce un enigma di difficilissima risoluzione, su cui, probabilmente, possono essere fatte solo delle ipotesi. Questo strumento è stato rilevato esclusivamente in contesti rurali (sebbene esista qualche testimonianza del suo uso in contesti più urbani) e, nel momento in cui diventa oggetto della ricerca etnomusicologica, la sua area di diffusione in Calabria è ristretta a due piccole zone della parte centro-meridionale della regione. In una di queste (quella del monte Poro in provincia di Vibo Valentia), la lira era presente solo nella memoria ma non nell’uso mentre nell’area ionica del sidernese era suonata da qualche anziano ma pressoché scomparsa dalla vita musicale dell’area.
La lira viene considerata un’eredità della cultura ellenica della regione e collegata alla famiglia più ampia delle lire del mediterraneo orientale con cui condivide le caratteristiche principali: forma a pera, assenza di tastiera e capotasto, cavigliere con piroli a inserimento sagittale.
L’arrivo di questo strumento in Calabria è ancora oggetto di dibattito. Le due ipotesi principali suppongono da un lato la comparsa dello strumento come conseguenza dell’occupazione bizantina (è l’ipotesi che fa Goffredo Plastino, leggi qui un suo articolo) e dall’altro l’arrivo della lira insieme alle ondate di profughi provenienti dalla Grecia in seguito alle varie fasi dell’occupazione ottomana (leggi qui un articolo di Ettore Castagna su questo tema). In un caso quindi si tratterebbe di un’eredità altomedievale e relativamente autoctona, mentre nel secondo caso viene interpretata come un’acquisizione più recente e alloctona. Sebbene il termine lira compaia in vari documenti tra medioevo e rinascimento, non esistono però testimonianze iconografiche che possano comprovare la presenza di questo specifico strumento nel Meridione se non alcuni sparuti esempi di raffigurazioni pittoriche che sono solo vagamente riconducibili alla lira (ad esempio gli affreschi nella cappella Palatina di Palermo e la ribeca raffigurata nell’Assunzione cinquecentesca di Antonio il Panormita custodita a Palazzo Abatellis a Palermo).
Si tratta quindi di un fantasma? Purtroppo ancora non è stata fatta una ricerca estensiva alla ricerca di fonti iconografiche che possano permettere una ricostruzione dello strumento in epoche anteriori alla metà del ‘700 (epoca di costruzione del più antico esemplare pervenutoci). Inoltre le catastrofi naturali e le dispersioni di archivi non agevolano la ricostruzione della storia più antica della lira in Calabria. In questo senso però, occorre porre una questione in merito alla cosiddetta prassi storicamente informata. Posto che uno strumento come la lira potrebbe aver avuto un ruolo molto simile a quello della ribeca con cui condivide diverse caratteristiche (in sostanza la ribeca aggiunge alla lira una tastiera e un capotasto, ma per il resto si tratta dello stesso strumento), nel momento in cui si esegua musica rinascimentale o barocca proveniente dall’area calabrese, sarebbe più corretto attenersi agli studi musicologici correnti (che però si riferiscono ad altri contesti geografici) o partire anche dal dato etnomusicologico utilizzando questo strumento come una forma locale di ribeca?
Nel video che segue una coppia di ribeche esegue musica barocca (vedi qui). Lo strumento era considerato (in un’ottica evoluzionista) uno strumento medievale, per cui non utilizzato per suonare musiche del rinascimento e del barocco. Questo pregiudizio non ha permesso di includere nella prassi esecutiva di alcuni repertori questo strumento, contraddicendo anche le evidenze documentarie e iconografiche. Non sarebbe il caso di ripensare anche la lira calabrese da questo punto di vista, svincolandolo dal fatto che esso ci sia pervenuto come strumento popolare e ripensandone ruolo e funzioni nel repertorio della musica antica?