Da giorni circola in rete l’invito a sottoscrivere una petizione per far chiudere il programma di una signora che qualche giorno fa, insieme ad un altro signore suo ospite, ha recitato una preghiera per le vittime della pandemia.
Ora, esiste un diritto universalmente riconosciuto alla libertà, nella specie quella di manifestare il proprio pensiero, che deve rimanere incontestato quand’anche faccia a pugni con il buon gusto. E nel caso di questi due signori il buon gusto è andato certamente al tappeto. La questione diventa allora se auspicare che prevalga quel gusto o la libertà.
La libertà, quella vera, è faticosa e spinge ad una rettitudine e ad una onestà che non ammette mezze misure: o è piena o non è. Poiché non è agevole discriminare tra libertà diverse, tale deve risultare perfino quella, volgare, di ostentare un momento così intimo come la preghiera. Preghiera per chi è morto, per di più.
Esibire la fede è una clava oggi in voga per catturare certe fasce di consenso. Ma ci tocca difendere anche questa libertà, per quanto ci ripugni, se delle libertà ci piace farci alfieri. È per questo che una petizione non rimetterà a posto le cose. Anzi, verrà tacciata di essere liberticida, e così anche buon gusto che vorrebbe difendere.
Certo il pudore, l’educazione e il buon senso, se proprio non il buon gusto, devono divenire dighe a certi rigurgiti che i più spiritosi contrabbandano per pensiero. Ma sono dighe faticose da erigere, di una fatica lenta e testarda cui non ci si può sottrarre, e per la quale nessun mi piace online potrà far mai da scorciatoia.